La penna degli Altri 26/06/2013 10:57

Rabbia Sensi: «Noi vincevamo»

AFFETTI - (...):  «Mi dà tristezza la curva di oggi. Preferivo quella che esultava e poi prendeva a insultare. Per essere presidente della Roma bisogna saper subire anche gli insulti. Capire lo stato d’animo dei fan, fare da ombrello alla squadra» . La Roma di oggi si vanta di non essere schiava del risultato.  «Mio padre si vantava di esserlo. Quando perdevamo, la sera non si cenava. Non solo Franco stava in mezzo ai tifosi, era tifoso lui stesso. Perché dire cose del genere? Non giovano al presidente» .

Fin qui è difficile dar torto alla Sensi, punta nel vivo degli affetti (anche se i toni usati da Pallotta non sembravano offensivi). Né è contestabile quanto afferma a proposito di :  «Non lasciatelo andare via. Significherebbe perdere l’ultimo simbolo di un calcio che non c’è più» . La sua replica va sopra le righe quando diventa pura difesa della società che fu, banale agiografia di se stessa e dei suoi:  «Mi avevano offerto ben più di 50 milioni per . Non credo di essere stata una sciocca a non accettare. In questo mestiere bisogna essere estremamente razionali ed estremamente innamorati di ciò che si fa, perché essere presidente della Roma è una cosa unica. Avevamo uno staff eccezionale con Daniele Pradè, Bruno Conti, Cristina Mazzoleni, Vito Scala. Avrei poco e tanto da dire sulla vendita della società. Rimando a momenti più felici. Per adesso vorrei solo vedere la Roma vincere» .

FINE CORSA - E ancora, senza nominare nessuno:  «Quando parlo di affabulatori, intendo persone che raccontano favole come ai bambini, perché i bambini vogliono ascoltare le favole. Se ci sono affabulatori o bambini in giro non posso farci niente. Qualche volta è meglio credere alle favole che alla verità» . E qui la Sensi sbaglia, perché per questioni di finanza generale fors’anche estranee al calcio quella Roma era giunta a fine corsa e nel barile non c’era più nulla da raschiare.(...)