La penna degli Altri 22/05/2013 10:22

Non capisco di cosa si parla

Tuttalpiù siamo vittime dell’esatto opposto. Troppo generosi, troppo aperti, troppo disponibili e ingenui. Siamo un popolo che per una battuta giusta e ad effetto siamo capaci di esagerare, di calpestare inavvertitamente la sensibilità altrui. Anche se spesso questa sensibilità è un po’ troppo puntuta, un po’ troppo sopra le righe, un po’ troppo di maniera. Insomma con noi si scandalizzano sempre un po’ tutti. Siamo troppo grevi, troppo arroganti, troppo alla mano. Ma, come dicevo, mangiavamo con le mani sdraiati sul letto mentre le ancelle e i preferiti ci giravano intorno carichi di cibo, vino e promesse di ogni tipo. La nostra visione del mondo è stata fin d’allora a 360 gradi. Abbiamo un’apertura mentale che svedesi e inglesi se la sognano di notte. I primi hanno inventato la libertà sessuale solo a parole, e poi bocciano i matrimoni gay, i secondi hanno creato la tolleranza, purché si faccia come dicono loro. Parlo in questi termini e affronto il tema in generale perché il razzismo è una cosa più grande, cattiva e seria dei "buu" di dieci stupidi in curva. Non vanno tollerati e vanno sicuramente stroncati.

Detto questo vorremmo però far capire che massacrare di parolacce e insulti Mario Balotelli o chi per lui - e quasi in tutti gli stadi - e talvolta anche qualche proprio giocatore, fa parte del tifo. Vorremmo però spiegare che finita la partita, quello stesso identico giocatore noi lo inviteremmo in pizzeria per dirci sette o otto cazzate in allegria. Noi romanisti e noi romani siamo così. Il colore della pelle non c’entra. E in passato l’arbitro non era "cornuto" ma noi glielo dicevamo lo stesso. Espelliamo pure i reprobi. Ma non prendiamo sempre così tutto seriamente. Non partiamo per crociate che non esistono. Non carichiamo di angoscia chi vuole andare a vedersi la finale il 26 o una partita in trasferta. Non lanciamoci sempre in crocifissioni assurde. E anche se siamo ormai un po’ americani, non dimentichiamoci che siamo romani. Per crescere abbiamo bevuto il latte della lupa. Sul petto, sopra e sotto la maglia, ce l’abbiamo da svariati secoli. E guai a chi ce la tocca!