La penna degli Altri 16/05/2013 11:59

Cassano: «Nelle big ho fatto poco. Il 99% delle volte ho sbagliato io»

Eterno ragazzo Antonio Cassano invece è in uno studio televisivo e, come a volte succede con Valentino Rossi, fa uno strano effetto: è un eterno ragazzo a fine carriera. Si sta facendo intervistare per «Confessione Reporter», trasmissione di Italia1 di Stella Pende, e a fargli le domande non c’è un giornalistama Marco Tardelli, il c.t. di quel giorno a Budapest. Il dialogo sarà trasmesso questa sera alle 23.50 da Italia1: seduti su due sedie nere, Marco e Antonio sembrano due amici che parlano della vita, e Tardelli fa la parte dell’amico saggio. Poi a un certo punto Cassano dice una cosa che non ti aspetti.

L’autocritica «E’ stata colpa mia se non ho avuto una carriera migliore—racconta il barese, rientrato in campo domenica scorsa dopo oltre un mese ai box per uno stiramento — Pensavo che con la sola qualità si andasse avanti. Ho giocato in grandi squadre,maho fatto sempre poco». La disponibilità all’autocritica diventa una costante, come in altre interviste: «Ho fatto più casini della grandine — dice Antonio a Tardelli — Il 99% delle volte ho sbagliato io, però gli altri mi mettevano nelle condizioni di sbagliare. Passavo dalla ragione al torto in un attimo». E ancora: «Ho fatto il 50% di quello che potevo, ho sempre avuto un modo di allenarmi non professionale». Tardelli ascolta e a volte lo sgrida: «Antonio, quando hai fatto le corna a Rosetti è stato molto brutto ». Nel 1980, quando giocava alla , in un’intervista simile lui disse: «Il mio vero maestro fu un certo Costa. Quando avevo 14 anni mi fece capire che questo era un mestiere maledettamente serio. Così dopo le medie dell’obbligo, mentre i miei compagni si davano alla pazza gioia, io giocavo già a fare il professionista».

L’educazione Ad Antonio forse è mancata una figura del genere. La signora Giovanna per lui è stata mamma, papà ed educatore: «Mia madre è stata il punto di riferimento della mia vita. Fino ai 17 anni, quando ho iniziato a giocare a calcio da professionista, non sono mai andato a rubare pur avendo vissuto in un ambiente particolare. Mi ha messo sulla via giusta». Tardelli chiede se papà non gli sia mancato, e Antonio attacca: «Mi è mancato zero». Lui per fortuna non farà sentire la sua mancanza a Christopher e Lionel: «Nel tragitto verso l’ospedale, quando ho avuto l’ictus, non essendo credente ho pensato: "Se c’è qualcuno, fa’ che possa rivedere mio figlio". Ho preso paura ma non della morte, era paura di non rivedere mio figlio».

Le priorità L’impressione è che quel giorno Antonio abbia riscritto le priorità. In cima alla classifica, la famiglia. Antonio la prende male—va bene, per finta—quando Tardelli gli fa i complimenti per Carolina («Mister, non guardarla troppo… »), poi racconta: «Mia moglie era più matta di me, faceva tre allenamenti al giorno e guadagnava 200 euro. A un certo punto le ho detto: "Il pane a casa lo porto io, tu pensa a fare la moglie di Antonio"». Non è un esempio di progressismo, ma Antonio è così: prendere o lasciare. E Carolina ha preso. In fondo alla classifica, il pallone: «Ai miei figli dico che la cosa più importante è non fare calcio. Questo calcio mi ha stancato, troppa gente finta, troppi… Mister, si può dire leccaculo?». Non è un esempio di eleganza. Ma, come Carolina, anche Tardelli ha preso. Si può dire.