La penna degli Altri 07/01/2013 19:45

Italia, paradiso fiscale dei calciatori. Aliquote più basse di Spagna e Uk

Certo qualche stella potrebbe scegliere il campionato francese dove l'imposta si ferma a 806mila euro, ma solo fino a quando il presidente Francois Hollande non riuscirà a imporre la super tassa sui redditi milionari: l'aliquota del 75% è stata bocciata dalla Corte costituzionale, ma l'inquilino dell'Eliseo non ha intenzione di mollare la prese e promette battaglia. A costo di assistere a una vera e propria migrazione di transalpini - come Gerard Depardieu - sta già pensando a una nuova forma di tassa patrimoniale.

Insomma dallo studio di Kpmg sulla diversa imposizione fiscale all'interno dell'Unione europea emerge un progressivo allineamento tra i singoli Paesi come negli auspici della Commissione che nella sua raccomandazione di dicembre chiedeva una maggiore armonizzazione tra i governi membri. Una strategia volta a disincentivare gli spostamenti da un Paese all'altro solo alla ricerca di una più favorevole imposizione fiscale.

Una raccomandazione che colpisce come un boomerang il mondo del calcio - italiano - mettendone a nudo tutti i limiti: mentre l'Uefa discuteva di fair play finanziario i club italiani si lamentavano della fuga dei calciatori verso la Spagna dove ad aspettarli c'era la "legge Beckham". La norma, introdotta nel 2005, prevedeva un'aliquota di tassazione ridotta dal 43% al 24% per tutti i lavoratori stranieri in Spagna con introiti superiori ai 600mila euro annuali. Una legge pensata per attrarre cervelli dall'estero, ma che, invece, ha attirato - soprattutto - piedi fini: da Beckham a Kakà fino a Ibrahimovic. Una norma che per i dirigenti italiani era fumo negli occhi, ma che una volta abolita, ha rivelato la fragilità dell'economia calcistica made in Italy e lo scarso appeal del campionato. Come dimostrano le numerose società in vendita e i pessimi risultati a livello di competizioni europee.