La penna degli Altri 14/12/2012 08:43

Il boemo ha reinventato Pjanic e Lamela: la sfida è farli coesistere

Alla fine di Lazio-Roma sfidavo il lutto dei tifosi e l’irritabilità di chi detesta i paradossi scrivendo che c’era, eccome, del buono in quella sconfitta. Che tracce della magnifica follia zemaniana erano apparse anche dentro e sotto quel rovescio. Nelle tre vittorie a seguire, la squadra fa un passo indietro. Risultati a parte, si rattrappisce nel dubbio e prende a testuggine il genio di . Qualcosa accade, in parte, nel secondo tempo di Siena. Quel , spiantato alto a destra nel primo tempo, arretra, trova spazi, estri e tocchi mozartiani. E qui arriva, incauto, Montella. (...)

Esaltando , inventa un sconosciuto anche a se stesso oltre che alla mamma. Come aveva già inventato un Lamela mai visto prima. (commovente per quanto lascivo, effeminato, negligente e dunque divino il suo ultimo assist a ), come Lamela prima di lui, scopre l’ebbrezza della verticalità. L’euforia di lanciarsi a peso morto e salute di ferro negli spazi, con e senza palla, di attaccare il “nemico” là dove il nemico non c’è o non può arrivare, rinunciando a ghirigori e vezzi di un manierismo da cortile.

Eccolo il calcio zemaniano, lezione da studiare non solo a Coverciano. Sintesi killer, che parte da un pensiero forte, ma poi si libera di ogni pensiero, rifiuta il calcolo, per diventare atto puro, elettricità, dritta al cuore delle cose. Reinventati nel nome della verticalità i suoi due talenti più grandi, Lamela e , Zeman deve ora, a partire da domenica, vincere la sfida intellettuale più grande: farli coesistere.

A tutto questo si aggiungano risorse sparse, gregari sulla carta ma fondamentali di fatto, americani, paraguaiani, uruguaiani e greci (che sciocchezza masochista e che odiosa crudeltà insultare un ragazzo così generoso e così dentro il gruppo solo perché “colpevole” di stare là dove dovrebbe stare ). Si aggiungano i due meravigliosi brasileiri là dietro, che ci si butta più volentieri se hai alle spalle un paracadute che funziona. S’immagini uno Stekelenburg finalmente capace di urlare anche a Burdisso la sua grandezza, un Osvaldo libero dalle paccottiglie di un ego da rockstar, un capace di coniugare passione e lucidità. S’immagini un che Dio ce lo conservi e un Dodò che la salute lo assista. S’immagini uno Zeman capace di parlare con e di senza lo stillicidio di mezze frasi e parole, che lui proprio non se le merita. E ci siamo quasi (al lieto fine).