La penna degli Altri 13/11/2012 09:11

Lamela come Bati e Manfredini

Lamela ha centrato questo traguardo nella stagione in cui compirà 21 anni (è nato il 4 marzo 1992), l’unico a poter vantare un ruolino migliore (9 gol in 12 partite contro gli 8 di Erik in 11) è Amedeo Amadei, che arrivò “a dama” nella stagione dei suoi 20 anni, mentre Michelini lo eguaglia (con 8 gol in 12 partite) a 21 anni. In tutte le altre 15 occasioni, il romanista a bersaglio aveva dai 23 ai 32 anni. E’ evidente che i margini di miglioramento di un talento che è solo alla sua 41esima apparizione nel campionato italiano sono enormi e lasciano intravedere un futuro di straordinaria levatura. Ai lettori del Romanista non sarà sfuggito un altro dato: se i brasiliani hanno tecnicamente “marchiato” lo stile del club (tre undicesimi della squadra della Hall of fame provengono dal paese del samba), la lingua ufficiale del gol giallorosso è proprio l’argentino: Batistuta, Balbo, Guaita e Manfredini sono tutti compatrioti di Lamela e due di loro (Batistuta e Balbo), hanno militato nel River Plate. Il buon Manfredini, nato a Mendoza (con nonni paterni originari di Cremona e quelli materni di Bisceglie), è forse, fino a oggi, l’argentino che meglio si è immedesimato nella mentalità e nello spirito dei romani. Quando arrivò nella capitale, ma questo nessuno lo sapeva, aveva già subito un infortunio gravissimo che ne avrebbe minato sino alla fine della carriera la piena efficienza fisica. La causa di tutti i guai di “Piedone” è un certo Jorge Griffa, che da allenatore ha avuto alle sue dipendenze anche Batistuta. A Mendoza, un brutto giorno, Griffa, all’epoca difensore del Newell’s Old Boys, si macchiò di un’entrata che Manfredini ha definito: «Simile a quella fatta da Goycoechea su Maradona». Saltarono legamenti e menisco e da quel momento in poi, di fatto, il ginocchio di Pedro non è stato più lo stesso. Il centravanti doveva indossare spesso un tutore e dopo sole tre stagioni nella capitale, i dolori, divennero sempre più ingestibili. Nonostante questo fardello alle spalle, come racconta la storia, la Roma bussò alla porta del Pedro, mandandolo a dire il vero, un poco in crisi. Il centravanti aveva rimandato il matrimonio con Ana Maria di un anno a causa del militare, nella primavera del 1959 era appena convogliato a giuste nozze e stava mettendo su casa.

Come ricorda lo stesso protagonista, quando arrivò l’offerta della Roma: «Ho chiesto qualche ora di tempo, ero frastornato, avevo avuto dei mesi pieni di impegni, fra il matrimonio, le competizioni. Volevo consultarmi con mia moglie, i parenti. Venire via senza sapere nulla, nemmeno la lingua, appena sposato. (…) Avevo bisogno di tempo per prendere la decisione. Non sapevo nemmeno che compenso chiedere». Sappiamo tutti come andarono a finire le cose. Non meno difficile, a dire il vero, fu portare via dall’Argentina Erik Lamela ed Enrique Guaita. In entrambi i casi, le tifoserie del River Plate e dell’Estudiantes, fecero le barricate. Nicola Lombardo, inviato dalla Roma per ingaggiare il futuro “Corsaro Nero”, rischiò di essere linciato quando si capì che era lì per “scippare” “El Indio”. Cattivo, veloce, con un immenso fiuto del gol, Guaita era dotato di un tiro preciso e violentissimo. Altra caratteristica impressionante era la forza fisica che gli permetteva di superare le mille scorrettezze delle difese dell’epoca. Ora dall’Argentina un nuovo raggio di luce illumina la strada della Roma: si chiama Erik Lamela.