La penna degli Altri 15/10/2012 10:07
Chiamatelo Paolo Roberto De Rossi
Non ricordo gli anniversari e i compleanni, sono un disastro, per fortuna (?), cè Tonino Cagnucci (de Il Romanista), che le date le guarda, leggendo assieme i fondi di tè e che dagli incroci degli anniversari sa interpretare il passato, il presente e il futuro. E così che vengo a sapere che il 16 ottobre De Rossi festeggerà la sua 82^ presenza in azzurro e laggancio al totem Franco Baresi, nel giorno del compleanno di Paolo Roberto Falcao. Tonino, dice che è normale, uno dei tanti segni della segreta corrispondenza tra i due. Entrambi, mi ricorda, hanno esordito in serie A col Como in trasferta e sono gli unici dal 1980 ad aver avuto questo destino. Cè poi, di mezzo, il mare. Per De Rossi e anche per Falcao, ma a questo proposito, cè unaltra storia da raccontare, una storia che anche Tonino conosce solo in parte una storia di mare
Il mare: «E lunico grande riferimento geografico: tu sai sempre dove sei perché sai dovè. Il mare lo cerchi sempre per collocarti nello spazio, è il tuo miglior tattico, e quando non lo vedi ti senti meno sicuro. Il mare tinsegna a fare la diagonale, a scalare, a indietreggiare e attaccare (
). E una questione di fiducia lamore. Quando tu tiri un pallone al mare, il mare te lo riporta sempre. E luno due più grande e intimo che ci sia. Ed è proprio così che Daniele De Rossi ha cominciato a giocare al calcio. Aveva cinque anni». (sempre da Il Mare di Roma).
Il mare di Daniele è quello di Ostia, e la sua Ostia è quella dalle parti di Via delle Baleniere. E la Ostia degli amici di sempre, ad esempio Francesco: «Lo chiamiamo Cicalone dice Daniele Si conoscono anche le nostre famiglie, praticamente viviamo insieme, siamo andati nella stessa scuola. E proprio lamico della porta accanto». Poi cè Emanule, il vecchio Toni, gli amici del ristorante del Lido. Quelli che quando ritorna lo vedono mettersi a giocare con i bambini sul piazzale dove tirava calci da piccolo. Gli amici di sempre, i soprannomi nati da una frequentazione antica, incancellabile, il ricordo dei luoghi che sono tutto quello che ci rimane di una parte di noi. Pensi a Falcao e tutte queste cose non le vedi, ma quale baretto? Ma quale mare? Falcao è il Divino, cammina a testa alta, con il numero cinque sulle spalle, e uneleganza che si sposa con tante cose, ma non con il mondo semplice di Daniele De Rossi. Sono due film diversi, inconciliabili, tutti e due bellissimi. E invece no.
Cè una storia da raccontare, lavevo detto, una storia che emoziona perché spiega quanto i due si somiglino, fino quasi a sovrapporsi. Questa storia che sembra una favola, lha raccontata e persino filmata Gianni Minà. Minà non scrive bene come Tonino Cagnucci, ma ha conosciuto i Beatles e come se non bastasse, nella prima settimana di febbraio del 1986 è volato a San Paolo, assieme ad una troupe della RAI, composta dal cameraman e direttore della fotografia Roberto Girometti e dal fonico Lello Rotolo. Il loro compito era quello dintervistare alcuni dei protagonisti del mondiale messicano che batteva alle porte, cominciando da Paolo Roberto Falcao. Il 7 febbraio, Minà assistette a San PaoloFluminense, quindi ricevette una proposta da Falcao: «Ti va di accompagnarmi a Porto Alegre?».
A mezzanotte il gruppo stava volando a bordo di un jet messo a disposizione da un industriale di scarpe di plastica, alle due e mezza, erano già dentro al Palazzetto dello Sport di Porto Alegre per partecipare ad una festa organizzata dalla vecchia squadra di Paolo. La mattina seguente il gruppo di giornalisti italiani, si recò a intervistare Falcao a casa sua. Lo trovarono a palleggiare sulla terrazza, giocando con il nipotino. La terrazza era una vera piattaforma che si spalancava su un mare stupendo. «Mi piace il mare» disse Falcao, Tonino Cagnucci non cera, altrimenti avrebbe risposto: Lo so.Paolo iniziò a parlare: «Io non ho fatto mai niente per impormi. A un certo momento mi sono semplicemente accorto che i miei compagni avevano molta fiducia in me». E una questione di fiducia lamore. Falcao accompagnò Minà nel quartiere in cui era nato, lì la gente, i suoi coetanei si rivolgevano a lui chiamandolo Bola Bola. Falcao spiegò che quello era il suo soprannome quando aveva iniziato a giocare nelle giovanili del Porto Alegre e che lì, continuavano a chiamarlo così, era una dimostrazione daffetto. Un modo per dire: «Nulla è cambiato».
Le telecamere della Rai filmarono degli abbracci tra Falcao e i suoi amici, di cui scrivere è inutile, bisogna vederli. Passarono poi a collegio La Salle. Negli Anni 60 erano due casette di legno dove un sacerdote francese faceva scuola a una nidiata di bambini, tra questi anche Falcao, che ricordava: «Gli devo molto di quello che sono diventato». Quel viaggio incredibile finì con una partitella in un vicolo, Falcao, Pato e alcuni dei suoi amici di un tempo. Il racconto si arrestava con una dissolvenza
il giro di campo dello scudetto: 15 maggio 1983, Falcao che sorregge assieme a tutti i compagni limmensa bandiera dello scudetto. Falcao che come Daniele De Rossi viene dal mare e che ha imparato a portare la corona pur non essendo nato su un trono. Daniele De Rossi in Nazionale lha omaggiato indossando il numero 5, tutto, dopo aver ascoltato questa storia dovrebbe sembrare ancora più naturale.