La penna degli Altri 24/09/2012 10:28

Più manager e meno patron presenzialisti

 
Massimo Cellino con “l’invito” che ha fatto saltare la sfida tra Cagliari e Roma ha voluto garantire una postuma conferma alle parole del leader conservatore che guidò la Gran Bretagna durante l’ultima guerra. Non è dato sapere cosa abbia “armato” la mano del presidente del club sardo. Un suo collega, Nino Pulvirenti, attribuisce la colpa alla frustrazione. Frustrazione a parte, il calcio italiano è sempre stato caratterizzato da un tracimante presenzialismo presidenziale. Tracimante e (come in questo caso) autolesionistico. E’ l’espressione di un “modello di business” che non funziona, che ci ha fatto perdere colpi in Europa, che ci rende, agli occhi di chi ci osserva da lontano, nel migliore dei casi ridicoli, nel peggiore patetici. In Inghilterra i presidenti sono quasi sconosciuti e anche in Germania il protagonismo è decisamente attutito. Da noi non passa giorno che un presidente non si guadagni la prima pagina (la settimana scorsa Zamparini, adesso Cellino).



Il calcio italiano soffre di “bulimia mediatica presidenziale”; diciamo di essere nel Duemila ma le nostre società il più delle volte sembrano la riproposizione meno divertente del Borgorosso Football Club. Sarebbe bello se tutti insieme decidessero di “silenziarsi” e di organizzare l’azienda come una vera società per azioni: una assemblea che approva il bilancio, un Consiglio di Amministrazione che fissa periodicamente gli obiettivi, un amministratore delegato che cerca di raggiungerli affidandosi al lavoro dei direttori generali (allenatore, ds, eccetera, eccetera). In Inghilterra funziona così e sembra funzionare bene. In Italia abbiamo un presidente () con il Daspo e un altro (Cellino) che invita i tifosi a violare le disposizioni di una istituzione dello Stato. Per il bene del calcio italiano, fermateli.