La penna degli Altri 04/09/2012 12:21

L’insostenibile leggerezza della faccia di Zdenek

La sua faccia, che dicono indecifrabile, beffarda, sorniona, che non sai mai se stia per aprirsi in un sorriso - il sorriso amaro e obliquo di chi ti saluta furtivo sul Ponte Carlo - o rivelarti che per te non c’è salvezza, se non cominci a correre e ti crei un destino lontano dalle ombre, da quegli individui che forse ti seguono, con il bavero dell’impermeabile rialzato, i segugi della sopraffazione. Provate voi a ridere di gusto, come un mediterraneo, dopo tutto quello che lui ha visto, prima e dopo aver contratto il vizio del fumo. Provate voi a dimenticare quella notte di agosto del 1968, quando lui e la sorella Jarmila furono buttati giù dal letto perché era arrivata la notizia che i cingolati sovietici marcavano il solco nelle amate strade di Praga. Erano al sicuro, loro due, ospiti in Sicilia di zio Cestmir Vycpalek, e buon per loro, perché la fierissima Jarmila s’era sempre rifiutata di indossare il fazzoletto dei "Pioneri rossi", e quante grane scolastiche aveva procurato quel gesto a lei e al fratello. Ma a casa erano rimasti gli altri parenti, con papà Karel che non aveva mai avuto un visto per poter espatriare, perché non bastava fosse uno stimato primario, aveva sempre rifiutato di prendere la tessera del partito, e accidenti quanto erano testardi gli Zeman. Forse fu in quella proroga di vacanza forzata che il ragazzino Zdenek cominciò a capire che se devi opporti al prepotente non devi emulare l’eroismo dissennato e suicida di Jan Palach, ma ricordarti che Piazza San Venceslao è territorio cecoslovacco, è roba tua, non devi darti fuoco, ma occupare lo spazio che ti appartiene e ricacciare indietro l’invasore, devi metterci metodo e non follia, corri e attacca, inventa un nel quale il tuo spirito non potrà mai essere umiliato, comunque vada.

Provate voi a continuare a ridere con la stessa innocenza di quando eri bambino, e un mattino d’inverno scopri che non potrai più giocare a hockey sul fiume ghiacciato, perché hanno costruito un sistema di chiuse per impedire che l’acqua geli: lì conosci la malinconia boema, quella che devi navigarci sopra come su una barchetta di carta, l’incedere lento e solenne della "Moldava" di Smetana. E per arrivare alla foce di quel mal sottile devi inventartene un’altra, come fece il piccolo Zdenek che allagò con un idrante uno spiazzo davanti casa perché congelasse e lui potesse tornare a sognare con l’hockey.

Provate voi a non crollare di brutto quando aspettate con ansia che il cugino Cestino, il figlio di zio Vycpalek, torni in quella Sicilia che ormai è terra tua, il dolce esilio degli agrumeti e dello stordimento sensuale dell’aria, ma quel giorno l’aria comincia a puzzare di disastro, finché il telefono ti annuncia che Cestino non salirà mai più con te sull’utilitaria scassata per fare scorribande nelle contrade di Sciascia, Cestino è morto carbonizzato dentro l’aereo Alitalia che si schianta a Punta Raisi, e la tua giovinezza non sarà mai più spensierata. Devi inventartene ancora un’altra, per andare oltre, per non ruzzolare a terra ad ogni tackle del destino. Per sopravvivere devi capire, come accade a Zdenek, che la vita è tutto un paradosso. Tuo padre è un medico, ma un giorno il sistema del calcio ti sputerà via perché pronunci la parola «farmacie» in un’intervista in cui volevi sottolineare che il calcio è bello «perché in ogni angolo del mondo c’è un bambino che insegue un pallone». E tuo zio ti ha fatto innamorare dell’Italia perché allenava la , ma proprio quella sarà la società che ti farà la guerra, non c’è carro armato di Mosca che tenga il confronto, tu hai oltraggiato il Palazzo e ti cacceremo via. Così migri dall’Impero d’Occidente (guidi Lazio e Roma, e anche questo sarebbe un bel paradosso se tu non ti riparassi dietro la frase «il derby è una partita come tutte le altre») in quello d’Oriente, la Costantinopoli del Fenerbahce, l’Istanbul terra di confine tra mondi opposti, stretta fra due visioni della storia, né Europa né Asia, il Bosforo e i languori esistenziali descritti da Pamuk.

Quanti paradossi, caro Zdenek: come quando ti cimentasti per la prima volta come allenatore, i ragazzini del Bacigalupo, e il presidente era il raffinatissimo, potentissimo Marcello Dell’Utri. La tua faccia che non è mai nascosta del tutto dal tuo amato fumo, ma lascia appena intuire ciò che sai:che forse non è così importante vincere un campionato, ma far correre come se avesse dieci anni di meno, e vedere la maschera di Moratti imbalsamato in tribuna. Tanto, arriva sempre un tempo in cui i poeti conquisteranno tutto. Come ti aveva insegnato Vaclav Havel.