La penna degli Altri 04/09/2012 09:22
Il gabbiano Zeman fa del calcio unopera darte
I capolavori di Totti sono come quelli di Calatrava. E il calcio somiglia allarchitettura al calcio se non nelinsieme, almeno in una sua giocata, in un suo tratto, come ad unopera darte? E ci sarà pure un motivo per il quale alcune squadre o alcune culture calcistiche preferiscano o scelgano una soluzione fra tante perchè in sintonia con criterio di gusto, a costo di pregiudicare lesito generale?
Il calcio è un gioco, una simulazione e in effetti larte nasce come Mimesi , imitazione. E nelle antiche Olimpiadi si premiavano gli atleti e gli artisti, nello stesso contesto. Ma cè arte e arte. E nel corso dei secoli si è andata identificando unidea di purezza che tenesse ad una certa distanza quelle discipline che comunque fossero compromesse con esigenze pratiche. La musica era in cima, visto che il suono è puro equilibrio matematico, la pittura più in basso, perchè si compromette con maggiori aspetti materiali. Ma è arte anche larchitettura che pure deve tenere conto, proprio come il calcio, di un fine esterno: i palazzi devono stare in piedi e devono consentire un uso (chiese, stadi, ponti) che prescinde dallintuizione che rende poi quel manufatto unopera darte. Così nel calcio: in fondo il fine esterno, il risultato da conseguire, è scritto al di fuori del colpo di tacco, della rabona ben riuscita, dellassist che sembra teleguidato.
Architettura e calcio, in definitiva, convivono con questi vincoli. Anzi proprio dal contrasto con certi obblighi di utilità nasce la bellezza delle soluzioni, la peculiarità della forma artistica. In fondo larte, e in questo il calcio può essere a pieno una disciplina artistica come le altre, è legata allillusione che crea. «Unillusione che organizza lo spazio». Una grande studiosa di questo problema, l'americana Susanne Langer diceva che l'illusione artistica viene ricreata, in architettura, con un luogo virtuale dentro un luogo fisico. Come il calcio: in un dato momento, in una certa situazione, c'è un'esigenza esterna da conseguire, ma la si ottiene con un gesto che, per gli spettatori che lo vedono, ha un significato culturale sportivo dal valore artistico e che separa quell'atto da tutto il resto e lo mette in relazione con il sentimento. Ecco perchè una chiesa fiorentina che sembra un palazzo rinascimentale commuove e tocca la sensibilità di chi vive quella città, mentre sembra fredda a chi ha bisogno di guglie gotiche per immedesimarsi nel sacro. E così una giocata di un'ala brasiliana è apprezzata a Rio e lascia perplessi a Glasgow, o una rete di passaggi per arrivare al tiro in porta scaldi Barcellona, mentre un contropiede ficcante esalti Napoli. L'architettura, come il calcio, organizza uno spazio etnico e culturale. Lì dentro ci puoi trovare, come hanno fatto vedere Totti o Osvaldo, Calatrava o Frank Gehry, un tratto d'arte.
Poi c'è chi fa della dimensione estetica tutto o quasi. Quasi a compromettere - si diceva - il risultato. Una tentazione spiritualistica alla quale è bello abbandonarsi (o illudersi), in un mondo del calcio sempre più travolto dal tornaconto e dal'indotto economico. Questo mondo è stato capace di modificare la percezione e i modi con cui si arriva al risultato. Ma qualcuno reagisce. Vedere il calcio di Zeman, forse, è come rileggere un libro che è stato a la page alcuni decenni fa e che è tornato a far parlare di se per l'incidente capitato, giorni fa, al suo autore, il settantaseienne Richard Bach.
Si tratta del «Gabbiano Jonathan Livingston», la favola moderna della perfezione e della ricerca dell'atto estetico sopra ogni materialità. Il gabbiano Livingston venne allontanato dal suo stormo perchè sogna un mondo diverso, di purezza e perfezione. Il volo per il volo e non come mezzo per procurarsi solo del cibo. Le sue meravigliose evoluzioni incantavano, ma non erano capite. Non volle mai venire a compromessi. Come il suo autore che si è schiantato con un aereo in piena vecchiaia, inseguendo i suoi sogni alati, come Zeman che, all'ultima occasione, cerca di spiccare il volo restando sempre fedele a se stesso.