La penna degli Altri 02/09/2012 10:56

Ci vediamo da Gino prima o poi

Che intuisci alternarsi tra “fero e piuma”, proprio come quelli di Mario Brega. Siamo in un posto fuori da ogni rotta, alla fine di una strada senza uscita né lampioni. Circondati da una valle lussureggiante di castagni, non ancora stuprata dai dilaganti abusi edilizi. Attaccata al muro c’è una gigantografia sintomatica, dei fratelli Citti, colti sul set dell’Edipo Re pasoliniano. A Gino, con affetto è la dedica di Franco, che qui è passato pochi mesi fa, prima di tornare nel suo paradiso thailandese. “A giusta fine de Accattone” ha sussurrato sorridendo, provato fino a un certo punto da un recente ictus. Anche lui romanista ortodosso. Qui da Gino ci ha riempito di aneddoti calcistici, legati a Pasolini: “Pier Paolo era pazzo del . L’unica volta in vita mia che l’ho visto davvero incazzato è stato all’Olimpico, dopo un Roma . Gliene avevamo infilati quattro, alla squadra sua. Non si dava pace. E come gli piaceva ammazzasse de fatica sui campi de periferia! Ala sinistra, detto Stukas. Correva come un disperato, gridava tutti di passargli la palla, come un ragazzino. Ma non riusciva mai a segnare, manco per sbajo. Na vorta fece un cross sbilenco, uno dei suoi. Deviata dal vento, la palla si stampò sulla traversa. Io ribattei in rete e gli gridai Anvedi che hai fatto, a Pà. E gli toccò pagare la cena per tutti, perché lo convinsi che era una specie de gol suo, e lui ce l’aveva promesso”.

Citti ci raccontò anche che a metà degli anni sessanta Carmelo Bene gli affidò in teatro il ruolo di San Giovanni Battista, nella sua Salomè wildiana. Avrebbe dovuto annunciare la buona novella, invece improvvisava a modo suo. Usciva da una sorta di pitale, con un cappello di giornali calcato in testa, gorgogliando: “Ahò, che ha fatto a Roma?”. “Che farà la Roma a San Siro?” ce lo chiediamo apprensivi anche io e Gino. Interrogandoci su quanto sarebbe piaciuto a Pasolini e Citti quel Nico Lopez da Montevideo. Con quella faccia scugnizza, da favela. Detto El Conejo, dentuto come Ronaldo e il suo diminutivo. Classe 1993 all’anagrafe, classe pura nei piedini rapidi. Domenica scorsa ha giocato i suoi primi minuti di serie A. Un esterrefatto Burdisso lo ha sorpreso ad estraniarsi dal match, rapito dai troppi riflettori e dal delirio dell’Olimpico. Rientrando in sé rapidamente, per concedersi un sombrero sfrontato ai danni di Alvarez, difensore del Catania. Rasoiando poi al volo, di collo esterno, il gol del pareggio sotto la , al primo minuto di recupero. Di pasoliniano Zeman ha sempre avuto la vocazione a offrire chances esistenziali ai meninos de rua. Bramosi di calcio e di vita. “Noi la fame ce l’avevamo in tutti i sensi e per lui eravamo disposti ad ogni sacrificio” ricorda Gigi Di Biagio, storico pupillo zemaniano. Che da giovanissimo sembrava un sosia di Ninetto Davoli, con la chioma ricciuta e la calata testaccina. Dall’altro alto c’è l’Inter del romano Stramaccioni. Incline a schierare, se non lo vedrà troppo affaticato, un ex controverso come Tonino Cassano. Un altro grugno pasoliniano. Suo padre, netturbino al cimitero di Bari, millantava di essere stato comparsa ne “Il vangelo secondo Matteo”.

El pibe de Barivecchia, l’idolo mancato, la promessa invecchiata, il talento smisurato rimasto in gran parte in bozzo. Uno che poteva installarsi definitivamente nel pantheon giallorosso, ma ha lasciato andare tutto in malora, spesso divorato da un egoismo sterile e un po’ ottuso. Zeman lo ha sempre considerato un fuoriclasse. Ma forse “Più incline al cazzeggio, che al lavoro”. è stato il suo idolo, poi il suo partner d’attacco, fino all’infrangersi dell’idillio. Un rapporto recentemente ricucitosi. lo ha affettuosamente ribattezzato “metronotte” per l’intensa vita notturna. Stasera se lo ritroverà di fronte e cercherà di beffare i propri trentasei anni. Forte della dieta serrata di gradoni e ripetute, in quella Scala del calcio che lo ha sempre esaltato. Zeman torna da giallorosso a San Siro, in un’arena che gli ha spesso riservato grandi prestazioni e magri risultati.

Una volta, nella sua prima Roma, al centro della difesa c’era Fabio Petruzzi. Un buon centrale, scolpito da Zeman con il solito metodo. Il boemo non gli risparmiava il suo sarcasmo, quando lo vedeva impegnato in iniziative troppo ardite: “Vediamo adesso cosa fa Beckenbauer”. La stampa romana, prima delle trasferte contro i nerazzurri, supplicava il boemo di costruire una gabbia difensiva intorno a Ronaldo: “Gabbia? È forse pappagallo Ronaldo?” l’interrogativo girato ai giornalisti. Più ghepardo che pennuto, il Fenomeno. Non c’era nulla da fare. “Per me aveva la faccia del destino, dell’incubo romanista. Quando partiva, allora, potevi solo sparargli. Altro che gabbie” ricorda Petruzzi, ancora traumatizzato. Stasera l’arcigno dovrà vedersela con Milito e Palacio. Ronaldo, dal canto suo, imbolsisce felicemente in Brasile. Fenomeni devastanti, all’orizzonte di San Siro, non se ne vedono più. Almeno così ci auguriamo io e Gino.