La penna degli Altri 08/09/2012 11:15
Burdisso: "Juve, questa Roma vuole lo scudetto"
Buongiorno Burdisso, finalmente un weekend di riposo.
«Ogni tanto ci vuole. Sarà unoccasione per girare per Roma con la famiglia: farò una bella passeggiata nel centro storico. Poi da lunedì cominceremo a pensare al Bologna».
La vittoria di San Siro ha rilanciato lentusiasmo della gente.
«E una cosa buona, importante. Ma noi dobbiamo restare con i piedi per terra, perché a Roma ci si illude facilmente. In questo senso la sosta ci aiuterà a metabolizzare il risultato di Milano e a rimetterci al lavoro con umiltà e determinazione. Il Bologna sarà un avversario tosto, come il Catania: noi soffriamo certe partite, per una questione di testa».
E gli scudetti, come diceva Capello, si vincono contro le squadre meno importanti...
«Esatto. Ricordo che il primo scudetto che vinsi nellInter passò proprio attraverso queste partite. Anche adesso se vogliamo lottare per il vertice, che poi è il nostro dovere, dobbiamo ragionare partita per partita senza mai perdere concentrazione».
Se la sente di dire che questa Roma è da scudetto?
«La parola non mi fa paura, perché non sono scaramantico. Perciò dico: la Roma merita di vincere, il suo posto è tra le società che vincono. Quindi lobiettivo minimo è giocarsela fino in fondo, lottare per il primo posto. Conteranno la fame e la convinzione, oltre alla qualità. Io credo che ci siano ma poi sarà il campo a decidere».
Tornando dopo linfortunio che squadra ha ritrovato?
«Una Roma più matura, grazie al rinnovamento dellorganico. La società è la stessa, la squadra no. In più cè Zeman che ha più esperienza e più storia di Luis Enrique ma ha le stesse idee di chi lha preceduto: vuole giocare su tutti i campi per vincere».
Cosa ha sbagliato Luis Enrique lanno scorso?
«Premesso che dopo un campionato così la colpa non può essere attribuita esclusivamente allallenatore, Luis ha pagato linesperienza. Solo quello. Ma è un bravo tecnico e una persona coinvolgente, sicura delle proprie idee. Un vero maestro. Sono sicuro che il suo modello di calcio sia esportabile. Certo, ha bisogno di più tempo di quello che ha avuto lui».
La differenza principale che ha notato tra Zeman e Luis Enrique?
«Sono cambiati i metodi di allenamento: ora facciamo tanta preparazione atletica. In partita
Comè Zeman visto da un difensore?
«Me lavevano descritto come un allenatore che non curava la fase difensiva. Invece è molto attento ed equilibrato. In poche parole fa capire cosa vuole dai giocatori. Ha uno stile di comportamento che mi piace e che può essere daiuto ai giovani».
E il suo compagno di reparto Castan che impressione le ha fatto?
«Ottima. E un giocatore esperto e serio, che sa quando deve anticipare e quando deve ripiegare. Io cerco di fargli capire come giocano certi calciatori che forse lui ancora non conosce».
Per un difensore sudamericano qual è la principale difficoltà nel periodo di adattamento?
«In Italia, soprattutto nelle grandi squadre, la difesa gioca alta e in linea. In Sudamerica non è così, cè sempre uno dei due centrali che si stacca come un libero. Anche io ho faticato allinizio, nellInter: Mancini si arrabbiava perché tenevo in gioco gli attaccanti avversari. Non salivo con i tempi giusti. E poi cè un altro problema: la palla in serie A corre molto più veloce».
E dei giovani Marquinhos e Romagnoli cosa dice?
«Sono molto bravi. Marquinhos è velocissimo, ha una forza fisica che si nota subito. Romagnoli invece è il tipico centrale italiano, ben posizionato, difficile da saltare, bravo tatticamente. E gioca il pallone senza buttarlo mai via».
Anche dopo il grave infortunio, Burdisso è tornato un punto di riferimento insostituibile per tutti.
«Io faccio uscire la difesa, oppure la richiamo. Ma i primi movimenti in fase di non possesso spettano agli attaccanti. Se gli attaccanti vanno in pressing noi difensori dobbiamo salire, altrimenti perdiamo compattezza. Contro lInter il meccanismo ha funzionato: avete visto Totti quanto ha corso fino allultimo minuto?»
Nello spogliatoio, poi, tutti ascoltano le urla di Burdisso.
«Per forza! Dei vecchi siamo rimasti in tre (ride, ndr)... Scherzi a parte, mi piace farmi sentire con i compagni. Anche a costo di scontrarmi con qualcuno. Così posso essere daiuto alla squadra e soprattutto a chi deve fare esperienza».
Lamela dice che Burdisso sta avendo un ruolo fondamentale per la sua maturazione.
«Sono felice di questo. E sono convinto che questo sarà lanno di Erik. Ha voglia e qualità. Deve far vedere il suo calcio e ci riuscirà, perché tutti lo stanno aiutando a crescere. Non solo io».
A Riscone, però, aveva scommesso sullesplosione di Florenzi. E stato accontentato.
«Mi aveva colpito per la personalità: è sempre allegro e motivato. In più ha il vantaggio di conoscere bene lambiente essendo romano. E un giocatore importante per noi e potrebbe diventarlo anche per la nazionale italiana».
La difesa sembra più compatta. Forse grazie allintesa ritrovata con Stekelenburg?
«Per un fatto linguistico, ora le cose vanno meglio. Ma Stekelenburg non è mai stato un problema per la Roma. E se ora gioca più fuori dai pali, è perché glielha chiesto Zeman (prima non succedeva, evidentemente, ndr)».
In questo campionato quali sono le rivali della Roma?
«La Juventus è la più forte: a lei dovremo cercare di strappare lo scudetto. Invece mi pare che le milanesi abbiano perso qualcosa. E lo stesso Napoli, senza Lavezzi, è diverso. Ma non dobbiamo pensare agli altri. Dobbiamo ragionare su noi stessi, con la convinzione di fare una grande stagione».
Il fatto di non giocare le coppe è un vantaggio.
«Per lallenatore forse, ma per un giocatore no. Un giocatore trova la condizione più facilmente se va in campo ogni tre giorni. E anche un allenamento per la testa: quando vinci, giochi la partita successiva più carico; quando perdi, hai subito la possibilità di rifarti. No no, a me le coppe mancano. E credo manchino anche alla Roma come società».
Che effetto le fa giocare in una serie A così impoverita?
«Non la vedo così povera. Sono andati via dei campioni, ma il fascino del campionato resta uguale. Inoltre, questa situazione crea anche un circuito positivo: si darà spazio ai giovani. Solo in Italia non succede. In Spagna o in Argentina i club fanno giocare i loro ragazzi. Qui invece si mandano in provincia a maturare. Perché?».
Perché in Italia contano solo i risultati, pure nel breve periodo.
«Appunto. Invece i giovani vanno lanciati e aspettati: devono avere la possibilità di sbagliare».
Ne ha fatto le spese suo fratello Guillermo, nella Roma: poche comparsate nella stagione 2010-2011, poi a casa.
«Già, ha pagato un anno difficile e anche la scarsa maturità. Adesso in Argentina sta andando forte: se venisse oggi, sarebbe unaltra storia».
Chi è stato il Burdisso di Burdisso? Quale personaggio si sente di ringraziare per la sua crescita di calciatore?
«Carlos Bianchi. So che a Roma è andato male. Ma in Argentina è lallenatore numero uno. E per me è come un padre: è venuto anche a Trigoria recentemente, ci sentiamo spesso».
Da ragazzino in carriera immaginava di diventare così forte e conosciuto?
«No. Pensate che sono arrivato per la prima volta allOlimpico con il Boca nellestate del 2001 per lamichevole di presentazione della Roma, che aveva appena vinto lo scudetto. Quando ho visto lo stadio pieno e lo show, con tutte quelle luci, mi sono detto: sarebbe incredibile giocare qui un giorno. Ci sono riuscito».
Anche a costo di lasciare lInter allalba del triplete.
«E stata una scelta difficile, a maggior ragione il primo anno quando accettai di trasferirmi in prestito. Ma era giusto così: non riuscivo più esprimermi come calciatore. Non ho rimpianti sul passato. Nemmeno per gli errori. Se sono quello che sono, lo devo alle esperienze che ho fatto».
Chi è stato lattaccante che lha fatta più soffrire?
«Milito. Domenica scorsa labbiamo fermato, ma in passato ci ha fatto tanti gol. Un fenomeno, un attaccante da studiare nelle scuole calcio».
Il suo modello da giovane calciatore chi è stato?
«Samuel, che ha tre anni più di me ed è nato nel Boca. Poi siamo diventati amici e abbiamo giocato insieme. Ma mi piacevano anche Ayala e Sensini, difensori molto intelligenti. E poi Ruggeri, il centrale dellArgentina campione del mondo nel 1986».
Burdisso si è anche sposato giovanissimo. E vero che la famiglia facilita la serenità di un calciatore?
«In linea di massima sì. Avere una donna accanto è un grande sostegno. Poi però (altra risata, ndr) cè sempre il Borriello di turno, che sta bene da solo...».
Adesso a che punto è della sua carriera? Linfortunio fa parte del passato?
«Sì. Devo solo superare certe paure, ritrovare fiducia. Sui colpi di testa, sugli interventi. Con qualche partita, tutto sarà risolto».
Ha rivisto le immagini dellincidente di novembre?
«Molte volte. Allinizio mi facevano impressione, poi le ho sopportate meglio. Ora il ricordo di quel giorno, di Colombia-Argentina, non mi pesa più».
In ritiro ha confessato che ha temuto di non farcela a guarire.
«Tutti i giorni lho pensato. Ma è stato uno stimolo a tornare in forma presto. Nel lavoro, qualsiasi lavoro, se dai tutto per scontato tendi ad adagiarti. Io non mi adagio e penso sempre alla prossima sfida».
Ora che sta di nuovo bene, la sua sfida è vincere. In tre anni alla Roma è ancora a secco, dopo 19 trofei conquistati in carriera.
«Infatti. E per laria che respiro qui, so quanto sarebbe bello uno scudetto a Roma. Lavoro per questo».
Meglio lo scudetto del Mondiale con lArgentina?
«Sono sincero, parlo da argentino che ha sangue italiano. Vincere il Mondiale in Brasile sarebbe il massimo... Ma adesso penso soprattutto allo scudetto con la Roma. Sono convinto che mi darebbe anche lo slancio per fare il massimo in nazionale. Quindi: fatemi vincere qui, poi mi dedicherò al Mondiale».
Resterà sempre alla Roma?
«Non mi piacciono questi annunci, perché nel calcio le cose cambiano. Magari nel 2014, quando mi scadrà il contratto, sarà la Roma a non volermi più perché non ho meritato di continuare. Di sicuro qui sto benissimo, mi sento realizzato. E ho apprezzato tanto il gesto dei dirigenti dello scorso anno: subito dopo loperazione al ginocchio, mi hanno proposto di prolungare il contratto. E una dimostrazione di stima che non dimenticherò. Sono stato io a chiedere di rimandare il discorso».
A Roma è un idolo dei tifosi. E magari per questo non è tanto amato dagli avversari.
«Sono felice della stima della gente. Laffetto dei tifosi mi ha aiutato tanto nel periodo della convalescenza. Sul carattere, beh, anche nelle altre squadre ci sono giocatori come me: penso a Chiellini della Juve, o a Campagnaro del Napoli, colleghi con cui è facile litigare».
E nei derby con la Lazio con chi ha discusso?
«Dias. Ma certi problemi nascono e finiscono sul campo. Nessun rancore».
Come giudica la nuova struttura societaria? Le piace Pallotta presidente a distanza?
«Lho conosciuto a Boston, mi ha fatto unottima impressione: è una persona di spessore, interessata, ha voluto conoscerci uno per uno. Non è un problema se il presidente passa molto tempo in America. Per un giocatore è importante che ci sia una società. E la società, con Baldini, Sabatini e Fenucci, è molto presente».