La penna degli Altri 28/08/2012 09:26
Pallotta, è tua! Tra basket e soccer, la scalata di mister James per fare grande la Roma
GASPORT (M. CALABRESI) - James Pallotta è il 23° presidente della Roma. Ventitré, numero che nella Capitale ha un significato ben preciso. Di «quello» (la fortuna che arriva dal lato B), ne avrebbe avuto bisogno anche il suo predecessore, Thomas DiBenedetto, definito, da qualcuno e con estrema malignità, «gatto nero». Badate bene: con tutto questo, la sorte non c'entra nulla, ma il passo compiuto ieri dal Consiglio d'Amministrazione anticipato di qualche mese, ma nell'aria è soltanto lo step finale di una scalata fisiologica. Iniziata già dai primi vagiti della trattativa, con UniCredit pronta a farla saltare qualora Pallotta si fosse sfilato dalla cordata DiBenedetto, punto di riferimento, ma non «uomo forte».
Chi è Nato nel 1958 a Boston, ma originario di Poggio Nativo (Rieti), Pallotta è cresciuto nel North End, quartiere italiano della Capitale del Massachussets. La sua carriera, dopo il Master in Business Administration, è decollata incontrando il finanziere Paul Tudor Jones, che gli affidò la sua Tudor Investments, a cui Pallotta garantì in 15 anni un guadagno del 19,2%. Una vocazione negli «hedge fund» (fondi d'investimento), dunque, che lo ha portato a essere uno dei top manager negli Usa, con un patrimonio stimato in un miliardo di dollari. 300 milioni del quale li ha sborsati nel 2005 per diventare socio dei Boston Celtic, alimentando la sua passione per il basket, sport praticato a buon livello negli anni dell'università. Passione che a Roma lo ha portato, in più occasioni, a incontrare Toti per sondare la possibilità di entrare nella Virtus.
L'ingresso nel soccer Poi la Roma: l'ingresso in punta di piedi, mandando avanti DiBenedetto, poi il «golpe» nel Cda del 14 dicembre scorso, con il depotenziamento di DiBenedetto, l'uscita di Ruane e D'Amore (gli altri due componenti primordiali della cordata) e l'ingresso di due suoi uomini, Mark Pannes e Brian Klein. Un manager di quelli irreprensibili, che con giacca e cravatta ci vanno anche a dormire, si direbbe: niente di più sbagliato, perché James Pallotta è uno che, tanto per gradire, a Boston si è preso 100mila dollari di multa per aver contestato l'operato degli arbitri nella finale con i Lakers.
Presidente-amico Pallotta è anche uno che arriva a Trigoria, dice ai suoi giocatori di «non avere paura» e si tuffa in piscina, il 9 gennaio, con un freddo boia. Ed è lo stesso che, durante la tournée americana, ha fatto da Cicerone a tutti, ballato rubando le cuffie a Castan, girato l'America con la giacca a vento griffata di giallorosso e tagliato con Zeman una torta a forma di pallone preparata nel ristorante delle sorelle Carla e Christine. Ma soprattutto (vista l'aria che tirava in quei giorni), ha ribadito con il diretto interessato l'imprescindibilità di Franco Baldini nel piano di crescita del club (guai a chiamarlo «progetto»). Ha un sogno, James: quello di lasciare la Roma ai figli, come un bene di famiglia da tramandare ai discendenti. «Siamo all'inizio, ma è la strada giusta per l'inizio di un decennio», disse nel giorno dello sbarco romanista a Fenway Park. Totti ci aveva scherzato su («Pallotta? È affogato»), James ha sempre fatto sul serio. E ieri si è preso la Roma.