La penna degli Altri 31/08/2012 10:31
Da Fuffo a Mattia, luci al Colosseo
artiamo decisamente con il botto parlando di Fulvio Bernardini. Dopo laddio alla Lazio Fuffo trascorse due anni allAmbrosiana. A Milano aveva uno stipendio da favola: 50 mila lire a stagione più tremila lire al mese di benefit. Bernardini strinse una bella amicizia con Cevenini, Pietroboni, Rivolta e naturalmente con il giovanissimo Peppino Meazza. Eppure, nel 1928, Renato Sacerdoti si mise in testa di riportare il più grande talento romano a casa e ci riuscì con un colpo da maestro. Ho sempre saputo che Bernardini, pur di tornare a casa, si accontentò di vedersi riconfermato il contratto meneghino senza una lira daumento, ma solo recentemente ho scoperto la cifra che servì a liberarlo dallimpegno con i nerazzurri: 100 mila lire. Per 100 mila lire lAmbrosiana lasciò andare il più forte giocatore italiano degli anni 30, un autentico suicidio.
Parliamo ora di Giacomo Losi, vale a dire il primatista di presenze in maglia giallorossa alle spalle di Francesco Totti. Prima di sbarcare alla Roma, però, Losi divenne, di fatto, un giocatore dellInter: ecco come lo stesso Giacomo mi ha raccontato quella vicenda, risalente al 1954: «Con i nerazzurri avevo disputato il torneo giovanile di Sanremo e 10 giorni più tardi un quadrangolare a Parma. Il tecnico Giovanni Ferrari era molto contento di me e sembrava tutto fatto. Comunque sia, al termine di quellesperienza mi venne regalato lintero completo: maglia azzurra con ricamato lo stemma sociale, pantaloni, scarpe da ginnastica, tutto. Alcuni anni più tardi, quando già giocavo in Nazionale capitai nella sede dellInter e incontrai il massaggiatore dei nerazzurri Tumela che era stato con me a Sanremo e ancora si ricordava di quelle mie belle prestazioni». Perché il tesseramento di Losi non sia stato perfezionato dopo quella prova così positiva è un mistero, fatto sta che la Roma sinserì nella trattativa con la Cremonese e portò a casa il giocatore. Quando Losi venne convocato a Bologna per firmare il nuovo contratto rimase stupito nel non trovare un dirigente dellInter ma bensì Giorgio Carpi, plenipotenziario giallorosso, che gli schiuse le porte della sua carriera romanista.
Saltiamo di palo in frasca e arriviamo alla fine degli anni 70. Nella semifinale del torneo del Tirreno lInter affronta lHertha di Berlino e vince per 1-0 con gol di Beccalossi. Che cazzecca? Presto detto: in nerazzurro viene schierato un prestito del Parma... tale Ancelotti Carlo. Il ragazzo se la cava più che bene, e alla fine dellincontro gli viene detto, senza tanti giri di parole: «Sei dei nostri». Badate bene perché siamo al 19 agosto 1978. A questo punto, però, al momento di mettere nero su bianco, qualcosa non funziona. LInter forse cerca di risparmiare, o magari è il Parma che cerca un leggero rilancio: fatto sta che laffare, dato da tutti per concluso, non si concretizza e Ancelotti rimane con una foto in maglia nerazzurra e un bel Come non detto. Meno di dodici mesi più tardi arriverà lofferta di Viola e il suo passaggio alla Roma. Altra fucina iperproduttiva per i rifornimenti della prima squadra della capitale fu lInter del ciclo finale di Herrera.
Quando Il Mago si trasferì alla Roma portò, infatti, con sé due ragazzi che si erano appena affacciati in prima squadra: Sergio Santarini e Aldo Bet. Inutile dire che soprattutto Santarini ha segnato, per oltre un decennio, un punto fermo irrinunciabile per la Lupa. La cessione di Santarini va contro qualsiasi barlume di logica, sia per luomo che lo aveva scelto e portato a Milano (un certo Italo Allodi che si era innamorato di lui vedendolo disputare unamichevole contro il Santos, marcando Pelé), sia perché il reparto interista che più reclamava innesti era proprio quello difensivo.
Più comprensibile rimane la cessione di Cordova, che dopo uno scalo al Brescia approdò alla Roma, anche egli per divenirne capitano. Ciccio, cavallo di razza quanto bizzoso, non riusciva ad assorbire il clima meneghino. Faceva infuriare Herrera addormentandosi negli spogliatoi mentre i compagni lo cercavano, insomma il talento da vendere cozzava con lirrequietezza del ragazzo e laddio era stato inevitabile. Nessuna bizza invece per Marco Delvecchio, che a Milano avrebbe volentieri speso tutta la sua carriera e che dal presidente Moratti aveva ricevuto assicurazione di essere considerato un incedibile.
Poi, per vestire di nerazzurro Marco Branca, il giovanotto, già stella della Nazionale Under 21, dopo un estenuante tira e molla venne lasciato alla Roma di Franco Sensi che ne fece un suo irrinunciabile alfiere. Potremmo andare avanti allinfinito ma dovendo proprio fermarci scegliamo il caso di Odoacre Chierico. Sbocciò al professionismo con lInter, facendo anche in tempo a vincere in nerazzurro la Coppa Italia e venendo preso in simpatia da Giacinto Facchetti (al suo ultimo anno), al quale per rispetto dava del lei. Non bastò per credere in lui, lInter lo lasciò al Pisa che in seguito lo avrebbe girato alla Roma, dove conquistò (al pari di un certo Prohaska ) il titolo di Campione dItalia 1983. Insomma Mattia Destro deve aver fretta di rinverdire questa strepitosa tradizione, inziando magari prorio da domenica