La penna degli Altri 14/05/2012 22:21

Il tramonto d'Italia nel tramonto di Del Piero

Oggi che come non mai abbiamo bisogno di eccellenze perdiamo la nostra eccellenza più amata, oltre lo stile , oltre il calcio, oltre lo sport. Esce il campione mai sporcato dai Moggi, quello mai coinvolto nelle truffe che gli vorticavano intorno, il virtuoso che mette la palla dentro e la lingua fuori, non il Totti che sputa e prende a calci l’avversario ma il cavaliere educato che sorride di se stesso e di imbarazzo, non strizza mai l’occhio al bullismo, non lucra sulla pubblicità del gioco d’azzardo. Del Piero è il compagno che sa star bene da solo pur facendo parte di una squadra. Esce dunque il vero modello ‘antischettino’, il capitano che non è codardo ma generoso, mai aggressivo e volgare né con i suoi ragazzi né con gli avversari.

Del Piero è sempre composto, sobrio e pulito come ieri è stata anche la commozione dello stadio, senza fumogeni, senza eccessi rabbiosi, nonostante in quella celebrazione ci fossero pure la vittoria dello scudetto e il record di un campionato senza una sconfitta. Insomma ieri ce n’era abbastanza per la baldoria, per le bombe carta, per il carnevale degli ultrà. C’è stata invece una festa d’addio e la vittoria è diventata malinconia, la gioia è stata triste. E’ vero che i tifosi hanno pianto anche a Milano dove il Milan ha mandato in pensione i suoi campioni, la vecchia guardia dei trionfi, i fratellini di Del Piero, Gattuso e Inzaghi, campioni del mondo, e Nesta, che è stato il simbolo del calciatore che si difende senza mai picchiare. Ma nelle lacrime di Milano c’era la maldestra perdita dello scudetto, il rimpianto per un campionato finito male. A Milano la squadra si piangeva addosso come sempre accade agli sconfitti.

A Torino no. La coronava un trionfo dopo la più umiliante quaresima della sua storia. Ma nessuno ha pianto di felicità. Hanno invece pianto per il congedo dell’Italia di Del Piero, l’Italia della bellezza e della virtù. In quelle lacrime senza pudore e senza freno c’è infatti l’intuizione, il cattivo presagio, che assieme al campione internazionale che tramonta siano a rischio di tramonto l’intera Italia dei primati, il made in Italy, il genio italiano che è un modello estenuato e senza eredi.

Del Piero è l’ultimo eroe di una speciale antropologia nazionale, quella dei registi eleganti, come Rivera e Pirlo, quella dei fantasisti che trattano bene la palla per se stessi ma soprattutto forniscono assist e fanno cantare gli altri campioni, proprio come hanno fatto Lucio Dalla e Paolo con Morandi , Celentano e mille altri. Del Piero era l’erede dei Corso e dei Baggio che danzano in campo e lavorano più di qualità che di quantità e dimostrano che le vie storte sono spesso le più diritte.

Con Del Piero sono a rischio d’uscita tutti i simboli d’eccellenza, del sapere e della produzione italiane: le grandi università, dalla Normale alla Bocconi al Politecnico di Torino; la moda che ha vestito il mondo, dagli Armani ai Versace ai Valentino; le auto che sono solo scatoline mentre Ferrari Lamborghini e Maserati, come Riva Mazzola e Facchetti, sono icone, vecchie glorie di un’Italia inarrivabile. L’Italia senza Del Piero è il ciclismo che i francesi ormai non si incazzano più , il cinema che è solo nostalgia di Fellini, Antonioni e Visconti, le navi che una volta si chiamavano Rex e ora si chiamano Concordia.

Ecco perché sono stati interminabili quei venti minuti d’addio. E’ stato un lunghissimo momento bello e genuino, un delirio che in fondo ci fa bene, un brivido collettivo che ha coinvolto non solo tutti i tifosi d’Italia, dalla sino al Cesena, ma anche i non sportivi. Venti minuti d’applausi sono come un inno nazionale, sono un patriottismo timido, un bisogno di sentirsi insieme, una voglia di Stato, il desiderio frustrato di una bandiera da amare.