La penna degli Altri 27/05/2012 10:59

"E' l'uomo giusto"

 

Riesce, affrontando la questione, a non parlare da tifoso?

 

«Quando iniziai a giocare, mi ricordo il motto: la Roma non si discute, si ama. Io, forse, l’ho amata troppo. Tanto da lasciare una gamba sul campo, per quella maglia».

 

La Roma deve ancora scegliere il nuovo allenatore. Per lei, come per i tifosi, l’ideale sarebbe Zeman. Come mai questa certezza?

 

«Il feeling è con il suo calcio. Non bastano i talenti per vincere. Devi anche correre, perché se arrivi secondo sulla palla perdi le partite pure se sei migliore tecnicamente. Zeman, anche nei momenti difficili, ha sempre portato avanti le sue idee. Onore al merito. A ha fatto un miracolo, riportando la gente allo stadio».

 

Un anno fa Baldini e vi chiamarono entrambi.

 

«Sì. Ma sbagliarono interlocutori».

 

Che cosa vuol dire?

 

«Ci proposero il settore giovanile. Gli abbiamo risposto la stessa cosa: volevamo fare gli allenatori. Io sono rimasto in Federcalcio, lui è andato al ».

 

Zeman ha avuto l’umiltà di ripartire dal Foggia, in Lega Pro. Come giudica la sua scelta?

 

«In linea con il suo pensiero. Mi ricordo una sua intervista: disse che si era divertito anche a Licata. L’ho sempre pensato anch’io quando guidavo le nazionali giovanili. Però non credo che fosse giusto per Zeman finire in C. Comunque, rispetto a me, ha almeno avuto la fortuna di guidare la Ferrari. La Roma, la Lazio e il . Io sono sempre andato in cinquecento».

 

Perché sulla panchina giallorossa funzionerebbe Zeman mentre Luis Enrique ha fallito?

 

«Con il primo si corre di più. Ho conosciuto lo spagnolo, fisicamente eccezionale. Ma la realtà in campo è stata diversa. Si è portato uno staff di quattro collaboratori. Zeman fa tutto da solo. La penso come lui. Ho sempre avuto un che però seguiva le mie indicazioni».

 

Sorpreso che in Italia sia tornata la Zemanmania?

 

«Non è corretto. Da anni lavora così. Quando ero il vice di Zoff, chiamammo Di Francesco e Delvecchio. Volavano».

 

I principi che più condivide dell’allenatore boemo?

 

«Lo descrivono integralista e non è vero. Ne so qualcosa io: ero il sergente di ferro solo perché evitavo che mangiassero i grassi. I giocatori vanno formati tra i quindici e i venti anni: nell’alimentazione, nell’educazione, nel sacrificio e nella fatica. A ventidue anni mi sono dovuto arrendere. Pesavo otto chili in più, fatali per il mio ginocchio. Non mi avevano insegnato niente da ragazzo. Chi si è allenato con me non ha mai avuto un problema muscolare. Invece mi arrivavano in nazionale giovani allenati male. Così tanti talenti sono andati persi».

 

Che cosa non va nel calcio italiano?

 

«Andiamo a prendere i giovani all’estero perché noi non sappiamo prepararli per la serie A. Troppi incompetenti, a cominciare da Roma, dove il bacino sarebbe eccezionale».

 

Insomma, avanti con Zeman.

 

«Merita un’altra chance. E senza togliere niente a Montella, al quale sono legato da grande affetto. E’ stato mio giocatore, ha svolto un lavoro eccellente al Catania. Sono diversi. Non ne faccio una questione di età. Zeman è esperto, ma moderno. Non conta essere giovani. Nè l’organico: non sono i giocatori a far grande un tecnico, ma un allenatore a far grandi i giocatori. Pendete Insigne e Immobile: il merito è tutto suo».

 

E Rocca che cosa ha più di Zeman?

 

«Non fuma cinquanta sigarette e sa giocare a pallone. Fatemi un po’ scherzare... Perché il lavoro per lui è stato il biglietto da visita, per me la condanna. Io sarò sempre grato al presidente Abete: durante calciopoli c’era un apparato che ho sempre combattuto e proprio non mi voleva».