La penna degli Altri 01/05/2012 09:56
Due anni fa linvasione di Verona
In molti già lì dalla sera prima, anche se la maggior parte sarebbe arrivata la mattina stessa della domenica. Come sempre. Con Verona scaldata da un tiepido sole, mentre a Roma, venendo via, sera lasciata anche un po di pioggia. Paradossi di stagione. Partenza allalba, dunque, come mille altre volte. Chi coi pullman, chi in aereo, chi quasi tutti con la propria auto. In quattro-cinque per macchina. Appuntamento, come sempre, con gli amici al baretto: caffè, si parte. Ma stavolta non è come le altre. È lultima giornata di campionato, ma è anche lultima trasferta libera, si è detto. Per lestate è già annunciata la tessera del tifoso, e chi vorrà abbonarsi o seguire la squadra lontano da casa non potrà non averla. E lhanno già capito, la gran parte di chi è lì, che una giornata come quella non sarà facile riviverla. «Uno stadio così forse non lo vedremo mai più» disse Daniele De Rossi al termine di quella partita, tenendoci a chiarire bene il concetto: «Perché con queste nuove leggi ci saranno più difficoltà ad andare allo stadio», aggiunse. Immediati gli arrivarono i rimbrotti di Maroni e di mezzo mondo del calcio. Neanche non sapessero che Daniele non è certo uno che le manda a dire.
La partita. Già, cera anche quella. Anche se sapevano tutti bene che niente avrebbe cambiato il corso delle cose. Hai voglia a sperare nelle notizie provenienti da Siena. Nelle parate di Curci o in un gol di Rosi. E che quel campionato sarebbe finito in quel modo, lo si era capito quattro partite prima, la sera di Roma- Samp. Il pianto di Mexes, in panchina, aveva già anticipato tutto. Nellintervallo ancora ci si crede. La Roma vince 2-0, grazie a Mirko e proprio a Daniele, ma nessuno si illude. Se a Parma, due anni prima, cera voluto il rientro disperato di Ibra, ancora semi convalescente, a Siena basta Milito per chiudere i discorsi. Nonostante limpegno, onesto, dei toscani. E non avrebbe perso loccasione per star zitto, ancora una volta, Ignazio La Russa, gridando: «Il Siena si vergogni, ha giocato per la Roma!». Che detto a poche settimane da Lazio- Inter, chiudeva bene il cerchio. Perché se cè chi non sa vincere, cè invece chi, tifando Roma, non perde mai. Ed è soprattutto que-sto che è evidente, quel 16 maggio, sugli spalti di Verona. Non solo perché è scritto su uno striscione. Ma perché la gente sa che nulla finirà lì. To be continued , anche questo cè scritto.
Cè chi ha detto che quella giornata a Verona ha ricordato il pomeriggio di Roma- Bayern, con la curva ad intonare Que serà, serà. Che non è rassegnazione, ma consapevolezza. Di una passione che va al di là dei risultati. Perché non è di quelli che è schiava. E non è una novità di questanno. Quella stessa energia che ha fatto viaggiare intere generazioni di tifosi romanisti in giro per il mondo. Nelle tante trasferte oceaniche che sembrano far parte di unaltra storia, ma sono invece lì a raccontare la nostra storia. Come, a proposito di Bayern, i diecimila che approdarono a Monaco in Coppa delle Coppe nell84/85. O quelli sbarcati a San Siro, in occasione di tante finali con lInter. In Coppa Uefa, nel 91, quando arrivarono in dodicimila, o in Coppa Italia, quella del 2007, con quindicimila tifosi a cantare linno mentre Totti alzava il trofeo. E andando indietro nel tempo, i diecimila che partirono alla volta del Comunale di Torino per vedersi annullare il gol di Turone. O quegli altri diecimila in trasferta a Pisa, nell86, nel giorno dellaggancio, sempre alla Juve. E a Bari nel 2001? Trentamila, ad occupare il San Nicola. E sempre quellanno, alla penultima giornata, i quindicimila a Napoli, perché molto meglio lì che davanti a quei maledetti maxi-schermi. Un rito che si è ripetuto per anni, e che qualcuno ha voluto che si interrompesse. E forse per questo che, come scrisse qualcuno, quel giorno a Verona è stato un po come lultimo giorno di scuola. Quando ci si stringe intorno alle persone più care. Quelle con cui si è condiviso un percorso. Sui banchi come in curva. Sperando di tornare a riviverle quanto prima, quelle stesse emozioni. Perché la storia (direbbero oggi anche gli americani) to be continued.