La penna degli Altri 24/04/2012 09:11

Troppi errori per essere vero

Luis Enrique, confermato a 360 gradi dai dirigenti anche ieri perché ottimo allenatore, è il primo responsabile della deludente annata della Roma e al tempo stesso lo scontato parafulmine degli errori della dirigenza. Proteggendo sempre e comunque l’asturiano, più che difendere la Roma la società ha difeso se stessa. Mandarlo via a novembre, quando Montella chiarì che un italiano sarebbe stato già esonerato se avesse avuto lo stesso rendimento di Lucho, o nel 2012, sette sconfitte in nove trasferte e tornando da quattro viaggi dopo aver preso quattro gol, sarebbe stata l’ammissione plateale di aver affidato la nuova rotta al pilota sbagliato. Quindici ko, tredici in campionato, non certificano un record. Sono semplicemente un pianto.
 
Le contraddizioni stanno salendo a galla e sono maleodoranti. Quelle recenti sono disarmanti. Più della interna di Osvaldo per lo schiaffo a Lamela a Udine, della tribuna a per sei-sette minuti di ritardo, dell’ammissione per il mancato acquisto di un difensore a gennaio. Più dei ritiri che non ci sono e delle trasferte che si fanno il giorno della gara (a vedere che cosa accade quando la Roma gioca fuori casa, forse sarebbe il caso di partire non 24 ma 48 ore prima). Giocatori felici e finalmente liberi di sbagliare. Perché ora Lamela sputa sul codice etico, Osvaldo parla e sparla degli arbitri perché i dirigenti non vogliono farlo ma adesso accettano che i giocatori si lamentino per passare per fessi, i calciatori replicano negli spogliatoi ai dirigenti che li accusano anche in pubblico, troppo vecchi o troppo giovani a seconda della partita, logori i primi e distratti gli altri, senza personalità tutti e campioni pochi.
 
La prima pietra, riconoscibile in Luis Enrique, ha la consistenza e l’aspetto della carta velina. Leggera contro ogni sistema di gioco e trasparente per ogni collega. La sfida contro , 7 a 0 in due gare (Coppa Italia e domenica sera) per il tecnico bianconero che è primo e imbattuto, bisogna approfondirla. La presunzione dell’asturiano che cambia sistema di gioco e mette almeno quattro uomini fuori ruolo (più rilancia Perrotta da titolare dopo quasi cinque mesi) diventa deleteria e letale davanti all’umiltà dello juventino che tatticamente umilia il rivale senza inventarsi niente e cioè andando, lui sì, sul semplice.
 
Ma dietro c’è altro. La Roma ha speso tantissimo sul mercato: 68 milioni di euro, con il saldo passivo ridotto a 42 per le cessioni di Vucinic, Menez e Riise. Solo nell’estate del 2000 ha investito di più, ma portando a Trigoria tre campioni come Batistuta, e Samuel (Baldini è testimone diretto). , anche lui come Luis Enrique in arrivo dalla B, ha portato la al primo posto, partendo dal settimo posto, diciotto punti in più, e con il saldo di mercato di meno 41 milioni (quindi addirittura con una spesa minore). L’asturiano sta confermando il sesto posto, con sei punti in meno.
Se per la società giallorossa il problema non è il tecnico, vuol dire che i dodici acquisti non sono da Roma. Chissà se lo diventeranno. Con Luis Enrique. Chissà se resteranno. Loro e Lucho.