La penna degli Altri 15/04/2012 11:03

Tragedia a Pescara, in campo muore Morosini

Morosini cade tre volte. La prima sembra sia scivolato, l’arbitro è lontano e non ferma neanche il gioco, dalla panchina lo vedono ma pensano a una caduta accidentale. Si rialza per un attimo, poi cade ancora.

A quel punto il massaggiatore e qualcuno dei compagni inizia ad allarmarsi, il pubblico addirittura lo invita a rialzarsi. Morosini prova a rimettersi in piedi ma non ce la fa e cade per la terza volta. Stavolta non si rialza più. L’arbitro ferma il gioco, entrano in campo medico e massaggiatore, ma fra e Livorno in tanti hanno già le mani tra i capelli. Dionisi, che ha segnato il gol dell’1-0, si lascia cadere a terra, dalla panchina si muovono tutti, si avvicinano, anche da quella di Zeman. L’espressione delle facce è la stessa per tutti. Nel frattempo i medici intervengono con il defibrillatore e il brutto presagio diventa realtà. Si affannano per qualche minuto, tutto lo stadio capisce e tace guardando con ansia verso il cancello da cui dovrebbe sbucare l’ambulanza, ce ne sono quattro fuori dallo stadio. Solo che l’ambulanza non arriva – e solo più tardi si saprà che non entrava perché a bloccare le porte c’era un’auto della Municipale senza conducente,(...). Allora sono i giocatori ad andare verso l’ambulanza, i compagni di Morosini e anche gli avversari, c’è Verratti che corre disperatamente verso l’uscita e rientra trascinando la barella.

Piove un po’ più forte quando l’ambulanza finalmente entra, che la partita non ricomincerà è chiaro già da molto e infatti neanche si discute, il tempo che tutti rientrino negli spogliatoi e l’altoparlante dà l’annuncio del rinvio. L’Adriatico si svuota nel silenzio assordante di un’ambulanza che se ne va senza sirena e della pioggia che continua a cadere senza rumore, in non più di cinque minuti. Le prime notizie parlano di arresto cardiaco e condizioni gravissime, poi l’ufficio stampa del fa sapere che dopo l’arrivo nell’ospedale Santo Spirito, a Morosini è stato applicato un pacemaker perché il suo cuore da solo non batteva. Mentre le squadre sono ancora negli spogliatoi, ai giocatori del Livorno arrivano notizie confortanti, le stesse che l’amministratore delegato del Iannascoli riferisce in sala stampa. E cioè che il giocatore è stato rianimato e che quando l’ambulanza ha lasciato lo stadio aveva addirittura ripreso conoscenza, gli avevano tolto la cannula per farlo respirare: «Gli hanno messo un pacemaker ed è in coma farmacologico. Lo abbiamo lasciato in ottime mani, stanno facendo tutto il possibile». Notizie che ridanno speranza ai compagni, che dallo spogliatoio decidono di telefonare alla fidanzata di Morosini per informarla. Poi salgono sul pullman, facce tirate e la pioggia che bagna le felpe grigie, davanti all’Adriatico l’angoscia è qualcosa di tangibile, la si può prendere in mano, soppesare.

C’è il tecnico Armando Madonna che fa avanti e indietro, il Luca Mazzoni con una vistosa fasciatura alla testa non si decide a salire. Qualche tifoso attraversa la strada e si ritrova a dare un’occhiata alle altre partite di Serie B nel bar di fronte all’Adriatico, in sottofondo si sente il gol di Pettinari a Reggio, ma si parla - sottovoce - soltanto di quello che è successo pochi metri più in là. Il pullman del Livorno se ne va pochi minuti prima delle 17. Quando arriva al Santo Spirito, trova la notizia che Morosini è morto.

(...)Le lacrime arrivano improvvise quando i giocatori di Livorno e escono alla spicciolata. Fino a questo momento non ha pianto nessuno, forse perché all’angoscia si mescolava ancora un po’ di speranza. Piange il dell’Under 21 Bardi, il cappuccio calato a nascondere gli occhi, piangono Paulinho e Dionisi, piange Sini, che di Morosini era il compagno di stanza e che è stato fra i primi a precipitarsi in campo quando è caduto per la seconda volta. Alle tute amaranto si alternano quelle azzurre, c’è Insigne che quasi sorregge uno degli amaranto.

Nessuna traccia di Zeman, troppo scosso per farsi vedere, figuriamoci per parlare. Nessuno ha voglia di dire una parola, l’unico a parlare per tutti è il del Luca Anania: «Non si può morire così, è assurdo, ci controllano sempre, visite, tutto… Ma noi in campo non avevamo capito subito, lo hanno capito solo dalla panchina che era successo qualcosa di grave. Noi ci abbiamo messo qualche secondo in più, appena l’arbitro ha sospeso la gara sono corso anch’io dove stavano tutti.Ci hanno detto che l’ambulanza non riusciva a passare in campo, sono stati alcuni miei compagni a portare la barella, per risparmiare qualche secondo, in attesa che liberassero il passaggio. È una tragedia, credetemi, non so davvero cosa dire». Piove ancora, ma non ci sono ombrelli aperti. Piove sugli abbracci che ragazzi di venti, venticinque, trent’anni si scambiano davanti al pullman amaranto. Due ore prima avevano fatto lo stesso per salutarsi prima del calcio d’inizio di una partita di calcio, adesso i singhiozzi che scuotono questi ragazzi sembrano riecheggiare tutt’intorno e soprattutto dentro. Coraggio, certo.

Ce ne vorrà per tornare in campo senza Morosini, come ce n’è voluto al per ricominciare senza il dei portieri Franco Mancini, anche il suo cuore ha smesso di battere all’improvviso e non più tardi di tre settimane fa. Una stagione maledetta, dice qualcuno. Allora la squadra di Zeman aveva dovuto giocare lo stesso, ieri la decisione di sospendere tutti i campionati è arrivata subito. «Non si poteva continuare - dice Anania -. Di fronte a queste cose il calcio deve fermarsi». Le sue sono le uniche frasi provenienti da chi era in campo ad assistere - letteralmente - alla morte di Piermario Morosini e forse è proprio questo suo stare davanti agli occhi che lascia sgomenti tutti, da quelli che stavano in campo, che lo conoscevano da anni o solo da pochi mesi, fino a quelli sulle tribune.

Testimoni, questo saranno, quando e se avranno voglia di raccontarlo. E poi c’è la rabbia, quella provocata dai minuti interminabili in attesa di un’ambulanza bloccata paradossalmente da un’auto dei Vigili. Minuti decisivi? Qualcuno dice di no, altri assicurano che non è finita qui. Ma intanto c’è un ragazzo di venticinque anni che se n’è andato su un campo di calcio. La scorsa settimana aveva sostenuto le visite per l’idoneità sportiva, gli esami dicevano che era tutto a posto ed effettivamente lo era, almeno fino al minuto numero trentuno di un sabato in cui non ha mai davvero fatto giorno. Quando tutti sono andati via, rimane solo la pioggia a battere piano sui tetti delle macchine. Le lacrime verrano, di parole se ne diranno anche troppe, sarà per questo che preferisce stare in silenzio ad ascoltare i respiri di chi resta, profondi o spezzati come i pensieri che si rincorrono senza direzione. L’ambulanza, il colpo di testa di Dionisi, le mani nei capelli, la maglia numero venticinque di Morosini, la pioggia, tutta questa pioggia che continua a cadere e che forse prima o poi smetterà. Quando farà di nuovo giorno, forse. Ma non oggi.