La penna degli Altri 16/04/2012 10:34

Taccola, la coscienza di Herrera

Purtroppo, però, la punta più efficace, Giuliano Taccola è alle prese sin dall’inizio dell’anno con una serie di febbri che lo mettono a più riprese fuori causa. Herrera si spazientisce e non manca di far trasparire il suo malumore verso i medici che non sembrano essere in grado di restituirgli un elemento di simile valore. A fine febbraio del 1969, come scrive Adriano Stabile nel suo “Tutti gli uomini che hanno fatto grande la Roma”: «Il professor Visalli comunica che Taccola è affetto da un vizio cardiaco, forse congenito, aggravato da continue tonsilliti».

La notizia è autentica? E se sì, perché non si fece nulla? Franco Cordova, uno dei migliori amici di Taccola, ha dichiarato, proprio al Romanista, che in quelle settimane la Società aveva pensato a concedere un periodo di riposo al suo attaccante spedendolo al Terminillo ad ossigenarsi. Ancora una volta però non se ne fece nulla, e anzi il 2 marzo 1969 il ragazzo scende in campo, contro la Sampdoria giocando per una buona ora prima di essere rilevato da Salvori.Alla sua morte mancano 15 giorni. Nell’ambiente giornalistico, a dramma consumato, circoleranno voci completamente prive di fondamento: «Giuliano doveva giocare per prendere i premi partita».

Balle, Taccola non aveva bisogno di soldi, se mai, i problemi per la sua famiglia inizieranno dopo la sua morte. C’è stato qualcuno che ha avuto interesse a mettere in giro certe storie o si tratta del solito chiacchiericcio sterile da bar? Per la partita contro il Cagliari Herrera convoca il centravanti con la promessa di non farlo giocare. Che senso ha? Perché far partire un giocatore che non può giocare? Il 15 marzo Taccola partecipa all’allenamento, sotto un forte vento di maestrale. Tempo addietro il compagno di squadra e amico Vito D’Amato ricordando con me la vicenda ha osservato: « (…) Dopo l’operazione alle tonsille, non mi ha mai detto, che so: “Vito, mi sento male”, ma era bianco come il latte… si allenava insieme a noi, perché Herrera non aveva un che magari impostasse lavori differenziati».

Rientrato in albergo si sente male, gli torna la febbre. Perché a questo punto non si pensò di farlo rientrare a Roma? La mattina del 16 marzo Taccola prende un caffè assieme a D’Amato e Cordova, poi la comitiva si mette in viaggio verso l’Amsicora. Giuliano si accomoda in tribuna, assieme a lui ci sono il Cavalier Biancone e Gilberto Viti. Accusa nuovamente un malore. Viene accompagnato negli spogliatoi, Sergio Santarini gli cede il lettino dove stava ricevendo i massaggi. Non si alzerà mai più.

Herrera come se nulla fosse accaduto, a fine gara insiste perché la squadra torni in volo a Roma per poi riprendere a Fregene il ritiro in vista della partita di Coppa Italia contro il Brescia. D’Amato in primis e assieme a lui Cordova e Sirena si rifiutano di abbandonare il cadavere del proprio compagno e assieme all’intera squadra del Cagliari rimangono accanto alla salma in ospedale. Da Fregene, piangendo, Ginulfi contatta il presidente Marchini per chiedergli di far sciogliere il ritiro. Il Presidente, all’oscuro di tutto, dà immediatamente la direttiva. Un’ora più tardi però, il dirigente Dino Viola lo contatta per comunicargli che Herrera si rifiuta di sciogliere la squadra. A questo punto Marchini, paonazzo, ricontatta nuovamente il suo tecnico per ricondurlo alla ragione: «Mandi tutti a casa. Subito!” – “A casa? Non si gioca più? E’ finito el calzio?”». I funerali di Giuliano Taccola si celebrarono il 20 marzo 1969 nella Basilica di San Paolo, tante, troppe, domande sono ancora senza risposta.