La penna degli Altri 07/12/2011 09:21

«Siamo tutti con Luis Enrique»

Al Roma Store non c’è stato il boom. Non poteva esserci il boom. Ma quei pochi che c’erano, erano lì per la Roma. Non per Luis Enrique, non per il progetto americano. Erano lì perché, nonostante tutto, non possono fare a meno di sostenere la maglia. Chiamatela ostinazione, chiamatela testardaggine. Qui la chiamiamo passione. Erano lì perché quella maglia «gialla come er sole e rossa come er core mio» va sempre sostenuta. Con orgoglio. «Viene prima la maglia del risultato» dice Flavio, in fila tra gli altri tifosi: una fila silenziosa, con lo sguardo basso. Una fila che, però, apre la strada alla speranza: «È l’ultima a morire, giusto? Siamo abbattuti, ma continuiamo a crederci». Credere in cosa? «Di poter vedere finalmente la vera Roma in campo, quella bella, che non si arrende mai. Quella che combatte a viso aperto fino all’ultimo secondo di gioco». C’è chi arriva con calma, come Matteo, perché per un attimo aveva pensato che non ne valesse la pena: «Sono preoccupatissimo, non tanto per il risultato quanto per la pessima prestazione contro Udinese e . Proprio per questo ero titubante sul comprare il biglietto. Ma la Roma è la Roma, e non riesco a farne a meno. Spero, però, che arrivi un segnale forte».

C’è chi, tra i primi della fila, non ha mai dubitato: «Io sono sempre stato un “enriquista” - dice Tommaso -, forse più di quato avrei dovuto. Sicuramente più di quanto mi ha dimostrato fino ad ora. Il messaggio della Sud era in questo spirito». Il progetto? «Nessuno può credere nel “progetto”, perché un progetto è costituito da una serie di passi ben specificati, da scadenze definite. Uno può credere in un progetto perché sa dove questo può arrivare, non può essere solo un concetto astratto. Fatto sta che ho comunque voluto credere a questa nuova Roma, e continuerò a farlo, perché non posso fare altrimenti. Anche se in questa fase ci sono state diverse dimostrazioni di graduale declino».

La papizienza è un’arma imprescindibile: «A Roma- non credo che cambierà nulla. Ma non fischierò la squadra se dovesse perdere. E nemmeno se dovesse perdere anche con il . Sarebbe stupido dare un ultimatum proprio ora». La speranza? «Mi piace credere che si arriverà da qualche parte, anche se psicologicamente vedo molti giocatori vacillare».

Ma la ferita di Firenze non può smettere di bruciare così in fretta. Laura lo sa bene: «L’umore è basso, sottoterra direi. Ma non me la prendo con Luis Enrique, anzi. Ha bisogno di tempo: ambiente nuovo, giocatori nuovi... credo che non sia facile per nessuno. Il tecnico sa il fatto suo, e per quel che vale ha la mia fiducia». I risultati? «La classifica parla, e nel calcio, in fondo, quello che contano sono i numeri». Non mancano gli scottati: «Sono qui solo per fare compagnia ad uno amico – dice Lorenzo -, non ho intenzione di comprare il biglietto. Prima di farmi spendere soldi, la Roma deve dimostrare che ama la maglia quanto la amo io. Stavolta passo. Ma non per vigliaccheria. Forse per rabbia. Purtroppo l’impazienza è sempre stato un mio grande difetto, non riesco a cambiare proprio ora. Di Luis Enrique non mi fido più».

Poi c’è chi la passione se l’è portata dietro dall’Inghilterra: «Ho scelto questo periodo per venire a Roma – racconta Evan - solo per andare a vedere RomaJuventus. C’ero già stato nel 2004: quel 4-0, quei colori, quell’entusiasmo mi avevano esaltato. Per quel che posso seguo molto la Serie A, e la Roma mi ha ruato il cuore. Credo che la sfida con la sia imperdibile, ed ecco perché oggi sono qui. So che il periodo non è dei migliori, ma credo sia ancora troppo presto per giudicare questa squadra, che è nuova a tutti gli effetti. Le costestazioni sono giuste se servono a dare un segnale, non per scoraggiare». Come dargli torto?