La penna degli Altri 06/12/2011 12:24
Dalla manita alla manata il barcellonismo sgasato del bimbo confuso Bojan
Accade quando ormai è successo già tutto, la Roma è in 9, la Fiorentina non si accanisce, Jovetic (che da solo vale tutta la squadra avversaria) si riposa e le lancette avanzano senza ferire. Anche tenendo conto dell'inferiorità numerica c'è qualcosa di paradossale nell'azione: al tiro va il centrale difensivo Nastasic, sulla linea di porta c'è l'uomo che dovrebbe marcare, il centravanti nemico, l'uomo teoricamente più avanzato. Avanzato? E' al confine del nulla. Un passo (o una manata) ed è fuori. Bojan sta sulla riga, in aiuto alla difesa. E' lo scudo umano che dovrebbe respingere di corpo o di testa. Con le mani, ci pensa semmai il portiere. Quando parte il tiro di Nastasic, diretto nello specchio della porta, in alto e alla sua sinistra, ha un fatale istante a disposizione per decidere che cosa fare. E' uno di quei momenti in cui il pensiero è un riflesso, un distillato di esperienza e personalità: fai quel che sei.
Nella circostanza, le possibilità sono due: saltare di testa, sapendo che probabilmente non ci arriverai, goffo ricadrai e sarà gol, oppure bloccare la palla con le mani e provocare il rigore. Scegliere la seconda ipotesi è un gesto al limite della sportività, ma se sei sul confine di tutto, campo e sconfitta, è ammissibile. E' mettere il piede nell'uscio che si sta chiudendo. Alzarsi in piedi per una dichiarazione spontanea prima che la corte si ritiri dopo un processo che ha sparso una marea di indizi sulla tua colpevolezza.
Le decisioni istintivi sono specchi del carattere, creano eroi come Salvo D'Acquisto o macchiette come lo zio Michele. C'è gente che si autoaccusa per salvare e altra che lo fa per niente. Nel calcio la manata più mortale e mortalmente efficace l'ha tirata l'uruguayano Suarez a un sospiro dalla fine del quarto di finale mondiale contro il Ghana. La palla andava dentro, la sua squadra era fuori, e lui l'ha fermata in quel modo. Anche chi non ha visto piangere l'Africa in diretta ricorda il seguito, quasi ineluttabile: Asamoah Gyan va sul dischetto, il pallone è una pietra e non può che tirare malamente. Supplementari, rigori, e vince la squadra di Manolesta Suarez. Un ladro, un eroe nazionale. "Che cosa conta se sono in malafede, dato che combatto per la causa giusta?". All'opposto: "Che cosa conta se combatto per la causa sbagliata, dato che sono in buona fede?". Ma si può commettere un gesto sbagliato per una causa sbagliata? Che cosa diablo difende Bojan sullo 0 a 2 quando para il tiro di Nastasic? Torvo più che mai, ammantato di popolare saggezza, lapidario come un sms, Totti sentenzierà: "Se non lo prendeva era uguale". Esatto. E allora perchè fare la "bojata"? E' come autoaccusarsi dopo che la rappresaglia è già avvenuta. A chi o a che cosa serve? Nel momento preciso a niente e a nessuno.
Quel gesto è un sintomo definitivo, la prova della confusione che regna nella mente dei giocatori della Roma. Bojan per primo. Era l'emblema della "barcellonizzazione". Oggi è solo l'ennesima dimostrazione che se Guardiola ti lascia andare un motivo ci sarà. Ha esordito bambino, nessuno più giovane di lui al debutto in Champions League, ha avuto occasioni e qualcuna l'ha pure colta, ma un cultore dell'eccellenza gli ha preferito Pedro, e poi Sanchez y Cuenca...Perchè? I grandi allenatori sono anche attenti psicologi. Possono sbagliare una diagnosi e non cogliere l'autismo di Ibrahimovic, poi si rimettono a studiare e la prossima volta capiscono.
Che cosa? Se in un ragazzo che gioca in attacco anzichè l'istinto del killer c'è una vocazione suicida. Se non la prendeva era uguale. Ma se la prendeva si faceva del male. Salterà la partita con la Juve. Magari al suo posto gioca Totti. Sta a vedere che cambia idea sul senso della "bojata"