La penna degli Altri 04/10/2011 09:36

Questa è sempre più la Roma di Luis Enrique

Sì, l’hanno detto, senza nemmeno considerare che al posto del cosiddetto attaccante centrale era andato a giocarci . Senza considerare che il 17 luglio, cioè al terzo giorno di ritiro, nella prima uscita della prima Roma di Luis Enrique contro la rappresentativa locale al posto di , uscito dopo i primi 45’, giocò Jeremy Menez, da trequartista puro. Che con lo Slovan alla fine al posto di ci ha giocato Valerio Verre, che è centrocampista. L’unica cosa che è cambiata è che gioca al posto di Verre. Enrique ha fatto sempre lo stesso cambio, ha fatto sempre lo stesso gioco: due punte centrali e un trequartista. Sì perché se si dice che Luis Enrique ha cambiato qualcosa si dovrebbe prima conoscere quello che c’era da cambiare. Fu bellissimo lo spagnolo prima della conferenza stampa di Parma quando disse chiaramente riferendosi a Bojan e a Osvaldo «Quelli che voi considerate esterni» (e prima della partita col Siena raccontò la sua formazione: «Il , gli esterni, i centrali, il regista, gli intermedi, il trequartista, gli attaccanti»).

Perché dicevano che questa squadra con questo modulo non avrebbe mai potuto giocare con Osvaldo e Bojan attaccanti esterni, visto che sono due centrali. Avevano ragione e si davano del torto: sono due attaccanti centrali e per questo nel modulo di Luis Enrique possono giocare insieme. La Roma gioca con un trequartista, o regista avanzato, e due attaccanti che hanno il compito-dovere di stringere e di tagliare al centro. Il gol di Bojan è un gol provato e riprovato in allenamento: a Riscone ci sono stati almeno due esercizi con il lancio lungo di . Larghi ci vanno gli esterni. Dritta per dritta ci va la Roma. E’ semplice. E’ semplice pure capire sin dal primo giorno di Riscone che la squadra sbava dietro al tecnico. Ce morono. Una cosa evidente ben prima delle cene sulla Baita nelle Dolomiti o dai Carnivori sulla Tuscolana. Perrotta - che è un senatore, che in teoria dovrebbe essere un conservatore dello e nello spogliatoio - dopo la primissima conferenza dell’anno aveva la luce negli occhi quando parlava di Luis Enrique: «Questo è proprio forte, e sì somiglia al primo Spalletti». Disse a microfoni spenti. A microfoni più o meno spenti lo disse anche . L’allenamento a Riscone andava così: Luis dava le direttive, eseguiva, e tutto il tempo veniva punteggiato dagli esclamativi dello spagnolo: “Ma è una meraviglia Francesco”. “Splendido”, “Oh che bello così”. Dicevano il contrario.

Quelli per cui la Roma gioca con tre attaccanti ma non può giocare con due centrali anche perché uno di questi – che però per loro è un centrocampista – non può essere sostituito da un altro centrocampista (sembra complicato perché effettivamente è una stronzata) sono gli stessi che fino all’altro ieri raccontavano che non andava d’accordo con Luis Enrique, che “Adesso non è più titolare della Roma”. Oggi è un calciatore di tutta la rosa (e stiamo sopra ai 30 giocatori) che ha giocato tutte le partite, ma tutte tutte (e in campionato s’è perso gli ultimi 20’ soltanto per infortunio). E’ stancante argomentare quanto questa sia la Roma di Luis Enrique visto che non gli indizi, ma le controprove stanno dappertutto. Sono come i centimetri di Ogni maledetta domenica di Al Pacino (che ha meno effetto sulla squadra di Luis). Non solo in attacco ma anche in mezzo al campo dove gioca ogni tanto – e più di ogni tanto – David Pizarro. Ecco, dicevano che Pizarro non avrebbe mai giocato in questa Roma e quello che conta era la motivazione: “la Roma gioca al massimo due tocchi e via, come fa uno come Pizarro che si coccola la palla a giocare in questa Roma qua?”. Ma come, la Roma non fa troppo possesso palla? Sì, almeno per Luis Enrique sì, per loro no. Eppure, cavolo, Luis Enrique Martinez lo ha detto in tutti i modi – dal 15 luglio all’altro ieri – che «il mio gioco non è fatto di passaggio palla fine a se stesso», «che la squadra non deve passarsi la palla tanto per passarsela, ma per trovare i varchi, anzi – disse testualmente – gli sbocchi». Chi sostiene che Luis Enrique è cambiato prende a prestito le parole del chiarimento disvelato da dopo Roma-Siena. Cioè queste parole: «Al mister abbiamo detto che ci sentivamo condizionati dal possesso palla, lui ci ha detto: "Io non vi ho chiesto questo. Dovete sentirvi liberi di tirare da lontano, di sfruttare le occasioni quando si presentano"».

Luis Enrique ha detto sempre la stessa cosa, e ha sempre cercato di far giocare il suo calcio a questa Roma. E il suo calcio – basta guardarlo in allenamento o farselo spiegare o vedere il che ha fatto 6 degli 8 gol all’Osasuna su pure verticalizzazioni – è fatto soprattutto in lungo e non in largo. Il trequartista e il regista di difesa, cioè e , servono a raccordare meglio la Roma per linee verticali, e visto che sono la Roma ci riescono alla perfezione. Per chi proprio non volesse capire, cioè fa finta di niente, basta che si legga le parole dette soltanto ieri pomeriggio dall’agente per l’Italia di Osvaldo, Filippo Fusco: «Mi ha sorpreso il possesso palla della Roma sterile e fine a se stesso, il B faceva maggiori verticalizzazioni rispetto a quella di Pep Guardiola». Stravero. Sempre in una delle sue primissime conferenze Luis Enrique disse chiaro e tondo: «Il mio modello non è il , ma la Roma». La sua Roma, che è sempre più sua. Fisiologicamente. Naturalmente. Persino ovviamente. Quale allenatore cretino vorrebbe far giocare la sua squadra come la Roma contro il Siena? Lui, sempre Luis, la definì orribile come prestazione, i cosiddetti critici hanno mosso le loro critiche su quel gioco spacciandolo come l’ideale dello spagnolo.

L’ultima è che hanno scoperto che adesso può anche attaccare. Ma va? Ma col Cagliari chi aveva segnato, Santarini? Dicono che ha detto questo: «Luis Enrique ha capito quello che non funzionava e ha corretto certe cose: eravamo leziosi, non verticalizzavamo». Dicono ovviamente il vero. Dice il vero pure , basta saperlo leggere. dice che la squadra è stata corretta dall’allenatore. dice che Luis Enrique diceva alla squadra che non verticalizzava, ergo Luis Enrique voleva, vuole e vorrebbe che la Roma verticalizzasse. dice che la squadra è stata corretta dall’allenatore secondo le idee originarie dell’allenatore. Eppure questa, come tutte le altre cose - le dichiarazioni di , il ruolo di , quello di Pizarro, l’ossesso e non il possesso palla, eccetera... - dovrebbero essere le prove provate del cambiamento di Luis Enrique. Sono le prove provate di qualcos’altro, di chi vuole far passare una Roma che vince in autogestione per non ammettere che l’allenatore è stata una scelta giusta della società, perché dietro a Luis Enrique ci stanno Walter e Franco Baldini. E ci resteranno qualsiasi cosa dovesse accadere, qualsiasi cosa dovessero dire quelli che adesso dicono che questa non è più la Roma di Luis Enrique quando sono stati loro finora a dire tutto il contrario.