La penna degli Altri 31/10/2011 09:56

Quanto manca il capitano. Senza di lui, 3 ko in 4 gare

 
si è fatto male il primo ottobre contro l’Atalanta e dovrebbe rientrare con il Lecce domenica 20 novembre alle 20.45. Tradotto, quasi due mesi fuori. Due mesi in cui la Roma, che pure può contare su validi sostituti come , Lamela o anche Bojan, sta patendo l’assenza del suo numero dieci. Primo: da solo mette paura a qualsiasi avversario. Per il suo carisma (basta vedere come è cambiata la partita di Europa League con lo Slovan quando Luis Enrique ha messo Okaka al posto suo) ma anche e soprattutto per il suo talento. In qualsiasi momento, e in qualsiasi posizione del campo, può essere devastante. E almeno un uomo fisso a partita si dedica a lui.
 
Tanto che, anche quando non è lui a tirare, lascia liberi gli spazi per i compagni. Che a volte ne approfittano e a volte no. Secondo: anche adesso che gioca da trequartista, dopo che negli ultimi anni da punta centrale era stato uno degli attaccanti più prolifici d’Europa, la sua importanza nella squadra è fondamentale. Fa da raccordo tra centrocampo e attacco, tira da fermo, regala assist ai compagni, velocizza il gioco quando serve e lo rallenta tenendo palla quando invece la squadra va in sofferenza. Svaria su tutto il fronte d’attacco anche se ultimamente lo si vede più spesso a centrocampo. E anche lì fa la differenza, perché spesso e volentieri costringe gli avversari al fallo. Lamela, che è ancora acerbo tatticamente, impara da lui anche se insieme non hanno mai giocato mentre , che per stravede, quando lo ha accanto gli passa sempre palla. E racconta, soprattutto in privato, che avere il come compagno può essere fondamentale per la sua carriera visto che il bosniaco adora giocare da trequartista. Contro il Milan allo stadio non c’era.
Oggi sarà regolarmente a Trigoria: fiosioterapia e allenamento differenziato, con l’obiettivo di tornare presto a dare una mano ai compagni. Soprattutto a quelli più giovani, che in questo momento complicato hanno - avrebbero - bisogno di lui in campo. Per 207 milioni di motivi. Perché va bene il cammino - ed è bello e importante, anche quando è sofferto, farlo - ma alla meta prima o poi bisogna arrivarci. E quando succede è soltanto un bene.