La penna degli Altri 04/09/2011 11:24

Di che si parla? Dell’avvento del cuore

E l’uditorio siamo tutti noi, orecchie appassite nell’inerzia di tiritere cantilenanti e sciatte. Poi, d’un tratto, un suono diverso e l’ascolto si ravviva, si rigenera. La verità. La verità pronunciata. Basta questo, ed è l’avvento del cuore. I nomi chiamati in causa si fanno personaggi, e i personaggi si fanno protagonisti. Un bel privilegio quello di essere protagonista. Perciò dico che in tanti, adesso, dovranno meritarsela questa conferenza stampa; o almeno tentare di essere alla sua altezza. Innanzitutto, se la deve meritare il mondo del calcio, del nostro calcio, così poco avvezzo a gestire parole che non appartengano a scheletrici campionari di luoghi comuni e ostinatamente incapace di farsi nutrire dall’eresia della sincerità; nello specifico del mondo romanista, se la deve meritare Luis Enrique, omaggiato da argomenti che non intendono affatto difenderlo ma ribadirne il ruolo. Il che è tantissimo.

D’altronde, sarebbe mai possibile difendere colui che per statuto dovrebbe a propria volta difendere altri e al contempo non mancargli di rispetto? Se la deve meritare Franco Baldini, che, pur se in modo preterintenzionale, con un solo aggettivo ha creato un prevedibile dissesto sottraendo dosi di vitalità a un progetto che in gran parte è creatura sua.

Se la debbono meritare tutti i tifosi, in particolare quelli che, come il sottoscritto, hanno reagito con rabbia e sgomento alla famigerata sostituzione contro il Bratislava. Una di quelle destinate a fare storia, visto che rimarrà a documento di quando, per la prima volta, proprio al momento in cui se non ci fosse stato avremmo detto: ci vorrebbe , viene fatto uscire . Motivo? Scelta tecnica, è un quarto d’ora che ha rallentato il ritmo. No, non basta. E Bojan, allora? Non ne azzecca una dal primo minuto. Insomma? Vero motivo? Due parole, due sillabe: l’età. Sicché, fuori.

Con rispetto, a giudizio dell’allenatore. Con spocchia, a giudizio di coloro che erano presenti al fatto. E’ un avviso. Un annuncio. La sofferenza del mutamento ci pervade tutti.

Perciò fischiamo. Fischiando, ci difendiamo. Qualcosa del genere prima o poi doveva avvenire, è avvenuto. Stiamo invecchiando, uno a uno, come il . E la realtà non si fa scrupolo di tacere la cosa. Fuori lui, dentro Okaka. Il pollice scorre lungo la spina dorsale e lì si ferma, lì preme, su questa vertebra ben rilevata nella carriera del campione.

Non sapevamo che consistenza, che forma avesse, ora l’abbiamo appreso. Ecco il punto, il nodo. Ecco com’è che succede. Ecco un prima e un dopo focalizzati in quel tabellone luminoso che scatena l’ira degli spalti, che stordisce lo stadio e che smorza l’impeto agonistico di chi resta in campo.

Ovvero, di quei ragazzi che sono quasi tutti dei ragazzini, e in quanto tali travolti da una sfiducia collettiva che non è sfiducia in loro, ma in una squadra a cui viene imposta l’assenza di un dio che invece sarebbe disposto ad esserci. Un’assurdità. Come fidarsi di un’assurdità? E se non fosse un’assurdità? E se Luis Enrique, nella sua comprensibile estraneità alle passioni dell’animo romanista, avesse agito solo da strumento di un processo naturale? E se così facendo dovesse rivelarsi il garante di quell’eccellenza a cui si riferiva ?
«Può darsi che sia più utile alla Roma con 20 partite che con 30», ha detto. Infine, lui: . Questa conferenza stampa se la deve meritare , a cui sono stati dedicati pensieri perfetti. Quelli che servivano, i più difficili da esprimere. Pensieri da amico, ma non solo. Da dirigente romanista, ma non solo. Da estimatore, ma non solo.

Dopo tanto meglio che ha sempre saputo superare il meglio raggiunto in precedenza, dopo tante cadute e tante resurrezioni, se il saprà essere ciò che gli è stato suggerito di essere, se saprà davvero meritarsi i pensieri perfetti che gli sono stati dedicati, scopriremo che il suo meglio, come calciatore, deve ancora darcelo.