La penna degli Altri 18/05/2011 11:43

Allarme sui conti della serie A, il debito totale sale a 600 mln

perdita netta. C’è un’unica strada per frenare l’emorragia: tagliare l’ingaggio ai calciatori. Sì, perché se è vero che i ricavi aggregati del nostro calcio sono saliti del 3,6% (60 milioni di euro in più, toccando così quota 1.736 milioni complessivi), è altrettanto vero che il costo del lavoro è ancora cresciuto ed è arrivato all’80% del valore della produzione nel 2009-’10 (la stagione precedente era al 74%). Dal 2013-’14 scatta la mannaia di Michel Platini e chi non raggiunge il breakeven (“spendi solo quanto ricavi”, il motto del n.1 dell’Uefa) non può partecipare alle Coppe europee: stando ai dati di oggi, la lista delle bocciate sarebbe lunga e prestigiosa (Manchester e United, Chelsea, Milan, Inter…) ma c’è abbastanza tempo per correre ai ripari. Come? Tagliando, appunto, sul costo del lavoro (Galliani ha appena iniziato la sua maratona…) e incrementando i ricavi da stadio e merchandising (ma in Italia è complicato).

Oggi, per le big italiane, è decisivo l’apporto di capitali da parte dei mecenati (Berlusconi e Moratti in testa), cosa che con il Financial Fair Play sarà sempre più complicata. Il nostro calcio vive soprattutto sui ricavi dei diritti tv (52% del fatturato) e l’ultima rissa in Lega lo conferma, e negli ultimi 10 anni il fatturato della serie A, al netto delle plusvalenze, è cresciuto del 51% (1.151 milioni nel 2000-01; 1736 nell’ultima stagione). Ma non basta, se non si cominciano a ridurre gli ingaggi.