La penna degli Altri 16/04/2011 12:04
I Sensi e la Roma, emozioni e trionfi
LA SCALATA - Sì, questa storia non si è chiusa adesso, con una transazione, tra carte bollate, costruzioni legali e obblighi di Borsa da rispettare. Questa storia è terminata quando il «Timoniere » è uscito di scena, chiudendo la parentesi presidenziale più lunga: dall8 novembre del 93 al 17 agosto del 2008, anche se era già entrato in società nel maggio 93 con limprenditore Pietro Mezzaroma. Quindici anni, un tempo straordinario per lunghezza in una città che «brucia» tutto pur essendo abituata a raccontare la sua storia attraverso secoli e millenni. Cosa resterà di questa lunga gestione proprietaria? Cosa si dirà dei Sensi di qui a dieci, venti anni? Chi oggi compra la Roma (cioè lamericano Dibenedetto da non confondere con quello straordinario americano romano interpretato da Alberto Sordi) compra qualcosa di più di una semplice squadra di calcio.
Forse si dovrebbe applicare ai giallorossi lo stesso motto che usano i catalani per il Barcellona: «Més que un Club», più che un club. Unidea, un momento di identificazione collettivo e popolare, un sogno, un cuore, uno stato danimo, un Sentimento. Chissà se questi proprietari che non vengono da Roma saranno in grado di capire e apprezzare quanto questa storia di calcio sia radicata in un territorio e quanto i confini di questo territorio siano immateriali, emotivi, romantici. Con tutte le esasperazioni e le esagerazioni che questo comporta e di cui, in qualche maniera, questa lunga parentesi proprietaria che si chiude ora è rimasta vittima. In principio era «Sensi Bla Bla Bla» : grandi acquisti e grandi obiettivi annunciati ma realizzazioni molto più piccole.
I SUCCESSI - Cera il peso di quel «cadavere » a creare sporporzione tra ambizione e realtà. Una contraddizione non facilmente sanabile se non a costo di accumulare altri pesi, altri ritardi. Col tempo, quella storia, quella fase verrà letta meglio, in maniera più accorta ed equilibrata, fuori dalle passioni quotidiane che nel calcio stravolgono la realtà. Trentamila persone dissero addio a Franco Sensi, in un giorno dagosto caldo e appiccicoso. Non era solo lultimo saluto a un uomo, era il sipario che calava su una fase storica. Poi si potrà discutere se in quella fase la Roma abbia vinto molto o molto poco. Forse potevano essere due, gli scudetti. Ne è arrivato soltanto uno. Ma in anni difficili, in cui tutto era condizionato. Lo sapeva bene Franco Sensi che forse troppo tardi decise di lanciare lassalto al Palazzo dopo aver sperato di poterci entrare accolto dagli occupanti di sempre tra squilli di tromba e rulli di tamburi. Ma gli «occupanti» lo volevano «disinnescare » non cooptare. Lo utilizzarono per rendere individuali i diritti televisivi ma poi lo «esclusero» dalle trattative con Telepiù tanto da indurlo a creare Stream; gli offrirono a garanzia il doppio designatore convincendolo che il sabaudo Pairetto lo avrebbe messo al riparo dallo strapotere della Juve Giraudian-Moggiana. Grandi battaglie trasformate in grandi autogol.
LE BATTAGLIE - Lo spingevano verso il tavolo del Consiglio Federale ma nel frattempo spostavano il potere dalla Federazione alla Lega, da Roma a Milano. In pratica, gli indicavano un traguardo e nottetempo glielo spostavano: un gioco di prestigio che sfibrava, creava tensioni, produceva delusioni. Si parlava di garanzie arbitrali e spuntavano due designatori: una illusione ottica perché tutti e due rispondevano ai richiami della medesima foresta e non era quella della Pineta Sacchetti, non molto lontana da Villa Pacelli. Due supercoppe, due Coppe Italia: non sono stati diciotto anni buttati; sono stati diciotto anni combattuti, travagliati, sofferti. Dentro un mondo del calcio che cambiava pelle mentre le forze fisiche ed economiche del presidente Sensi diminuivano. Di sé diceva, Franco Sensi: «Sono lultima espressione della cultura orale del calcio romano».
La Roma che passa di mano da quella «cultura orale», da quel racconto tramandato come la passione per una sciarpa a due colori, «gialla come er sole, rossa come er core mio». dovrà, comunque, ripartire. Perché è la stessa di Dino Viola, raccontata ed espressa in forma diversa. E sebbene tra luno e laltro filone culturale ci sia un intervallo di un paio di anni sui quali è meglio far cadere il velo delloblìo, un filo rosso li lega, li tiene insieme in maniera quasi indissolubile. Erano stili diversi. Elegante e criptico lIngegnere nei suoi tortuosi interventi dialettici, tanto diretto, a volte brutale Sensi (resterà negli annali, un memorabile «inseguimento » nella sala delle conferenze dello stadio Olimpico «ai danni» di Galliani; resteranno nella memoria alcuni vivacissimi litigi con Giraudo nel bar della Lega)), con quel suo intercalare romanesco. Il fisico asciutto del primo, la tozza e salda robustezza del secondo. La Roma degli ultimi trentanni ha il volto di questi due protagonisti, la passione che hanno acceso in una città che di passioni vive.
Personaggi facilmente identificabili. Certo, Viola non era romano ma viveva la realtà romana. Anche Sensi aveva a Visso, nelle Marche, forti radici, ma viveva la Roma come una missione, una missione e una «malattia» ereditate da papà Silvio, uno dei fondatori del club, uno dei fornitori delle assi di legno su cui venne edificata la leggenda di Testaccio. Il calcio in Italia è abituato a identificarsi: il Milan è Berlusconi, lInter è Moratti, la Juve è Agnelli. Il calcio che cambia è fatto di investitori che arrivano dallestero: il russo Abramovich, gli arabi del Manchester City, lamericano del Manchester United, il bostoniano della Roma. Il calcio globale è oggetto di transazioni globali, transcontinentali. Il vincolo non è più con gli uomini ma con i colori. Eppure era rassicurante per i tifosi pensare a una Roma di Sensi o di Viola. Bisognerà vedere come la nuova proprietà, più impersonale e meno identificabile, verrà vissuta e apprezzata dai tifosi.
IL LEGAME CON TOTTI - Un processo di identificazione rafforzato dalla presenza in campo di un giocatore-simbolo, Francesco Totti, non a caso definito da Sensi «il mio unico figlio maschio ». Quellunico figlio maschio era il prolungamento in campo delle battaglie del presidente. Sensi ha dato un ruolo alla squadra, lha sistemata stabilmente nel circolo delle Grandi ed è riuscito a tenerla in quel circolo anche quando è entrato in crisi il campionato delle Sette Sorelle. A costo di enormi sacrifici, come dimostrano le difficoltà finanziarie che hanno determinato questultimo e definitivo colpo di scena. Avrebbe avuto bisogno di più tempo, il presidente. Avrebbe forse avuto bisogno di vincere, agli inizi del terzo millennio, la battaglia di Lega. Ma le forze cominciavano a scarseggiare, la salute diventava sempre più precaria. Apparivano incrollabili i suoi avversari. La montagna di debiti sempre più alta, sempre più difficile da scalare. Lui ci ha provato: la cessione delle quote di Aeroporti di Roma, del parcheggio di Corso Francia, dellarea della Laprignana, del Corriere Adriatico, dellhotel Cicerone. Niente da fare. Per salvare il salvabile firmò (la firmò la figlia, Rosella) la pace con i «nemici» di sempre, Giraudo e, soprattutto, Moggi, luomo che aveva allontano dalla società e che si era vendicato portandogli via Paulo Sousa e Ferrara); un altro Moggi, Alessandro, tornò a calpestare i prati verdi di Trigoria. Per poco. Era il segno che lAutunno del Patriarca stava scivolando verso linverno.
E se calciopoli fosse esplosa prima? Forse le cose sarebbero andate diversamente. Probabilmente alla figlia Rosella avrebbe lasciato unaltra situazione. Ma con i se, i ma e i forse non si fa la storia. E la storia si chiude qui, formalmente poco meno di tre anni dopo quella triste notte. Diciotto anni, oltre tre lustri: un periodo ampio, tra luci e ombre, alti e bassi; a volte appassionante, altre volte deludente. Ma mai monotono, mai anonimo. Esce di scena la Famiglia Sensi con lorgoglio di lasciare nelle mani dei futuri proprietari una società forte nellimmagine, accompagnata da una considerazione diversa rispetto a quella che aveva nel maggio del 93, dopo due anni di insuccessi in campo e, ancor peggio, fuori dal campo. Perché i Sensi hanno vinto e hanno perso, hanno compiuto scelte giuste e preso strade sbagliate, ma quella maglia, quei due colori non li hanno mai insultati.