La penna degli Altri 18/04/2011 11:52

Fenway Park: sogni di bambini, cuori di tifosi e proposte di matrimonio

Tutti tranquilli, dunque, i giornalisti al Fenway Park, o meglio curiosi di sapere che effetto avranno gli investimenti a stelle e strisce sul nostro calcio. Curiosi loro? Chissà se solo se lo immaginano quanto curiosi sono i tifosi della Roma... Ma torniamo fuori dello stadio. Due ore prima della partita è già iniziata la festa. I tifosi tutti vestiti con qualcosa dei Red Sox (magliette, cappelli, felpe, giacche, cravatte, qualsiasi cosa) sono già lì. Non per entrare, ma per passare la mattinata tra una birra al pub e un hot dog mangiato sotto lo store del club. Il gate er ritirare l’accredito è il D. Al controllo dei biglietti (niente tornelli, niente polizia, niente calca, niente tensioni) un inserviente si offre di accompagnarci fino al box per il ritiro del pass. «Vi divertirete, ve lo assicuro» dice. Cinque piani di ascensore ed ecco la sala stampa. Attrezzatissima, confortevole, come peraltro qualsiasi altro posto dell’impianto. Dai settori popolari fino a quelli riservati ai dirigenti. Di fronte, una vetrata senza fine dalla quale appare, maestoso, il campo da gioco. Una vista imponente, emozionante. Paragonabile per certi aspetti alla prima volta che da bambino ti portavano allo stadio Olimpico. La scalinata e poi quel mare verde che ti riempiva gli occhi. Ecco, qui al Fenway Park la sensazione è simile. E’ l’architettura del posto (la struttura è rimasta quella delle origini) ti permette di immaginare perfettamente cosa doveva essere qui negli anni 20. Gli spalti sono ancora quasi deserti. «E’ normale – ci spiegano -. La gente resta fuori a mangiare ed entra solo a l’ultimo. O addirittura arriva direttamente all’ultimo. C’è chi ogni volta si fa centinaia di chilometri per vedersi una partita». L’attesa è un crescendo continuo. Il primo lancio è fissato per le 13.35 e alle 12.30 dagli altoparlanti comincia a sentirsi una musica d’organo. Sì, come in chiesa. Solo che vengono suonati brani che via via danno la carica partendo da "The Lion Sleep Tonight" passando per i Beatles e arrivando fino al rock di oggi. Intanto viene bagnato il diamante, ovvero il campo di gioco. Alle 13 parte un “tanti auguri a te”. Evidentemente è il compleanno diqualcuno e i familiari hanno deciso di festeggiarlo così facendogli fare gli augurida tutto lo stadio.

Spesso, come si vede nei film americani, capita anche che un ragazzo chieda alla fidanzata di sposarlo annunciandolo qui. Stavolta ci si accontenta di un compleanno. Almeno per ora. Ancora pochi minuti e tutti in piedi per applaudire i veterani di guerra che appaiono sul terreno di gioco. Manca poco al via. E’ il momento degli inni che ve gono suonati prima di ogni partita. Stavolta c’è anche quello canadese (l’avversaria di Boston è Toronto), poi è il turno di quello americano. I quasi 40mila di Fenway Park, che nel frattempo si è riempito completamente (da anni qui c’è il tutto esaurito), si alzano in piedi per ascoltare l’esecuzione fatta da un coro di bambini. Bravi, bravissimi e bisogna confessare che all’acuto finale anche a noi sono venuti i brividi ed è scesa qualche lacrima di commozione. Inizia la partita, inizia l’atto agonistico. Ma l’evento, lo spettacolo, c’è già stato. Fuori e dentro lo stadio. Eppure c’è qualcosa che ancora manca perché tutto sia perfetto, perché il cerchio si chiuda, perché l’America che si sogna dal’Italia ripaghi tutte le attese. E’ solo questione di aver pazienza: all’inizio del sesto inning le telecamere puntano sugli spalti. Il maxischermo inquadra un ragazzo con un anello in mano. Lui si inginocchia e fa la dichiarazione alla fidanzata. Lei arrossisce, dice Yes e lo abbraccia. E’ il più classico dei liet fine. Un lieto fine all’americana, di una settimana americana, in cui la Roma è diventata americana. Ora è tutto perfetto. Ora si può tornare a casa.