La penna degli Altri 16/04/2011 12:29

E adesso pop corn, stand e box il loro sport preferito è far soldi

sportivo americano per il suo proprietario è una sola: «fare soldi, più soldi, ancora più soldi». Scudetti,

coppe, derby, classifiche, glorie e tradizioni vanno bene, ma soltanto se sono funzionali al profitto. Lo sport è «business», come lo è una catena di fast food. E quanto prima i tifosi, i tecnici, i dirigenti della Roma lo capiranno, tanto più facilmente si eviteranno quel «culture shock», quelle sorprese che verranno dal primo incontro fra il mondo paternalistico, pasticcione, accaldato, dilettantistico, torbido del calcio professionale italiano e il mondo del business freddo americano. Non servite piatti di bucatini con la «pajata» a Tom DiBenedetto prima della partita come al compianto Sensi. Servite documenti formati con Excel e conditi da numeri in rosso passivo e in nero attivo.

Scodellate progetti per nuovi stadi, per vendere poi i «luxury boxes», gli appartamentini privati con vista sul campo, affittati a 150 mila dollari l’anno a corporation che li usano per ospitare e ungere con buffet e hostess i clienti migliori. Organizzate le «concession», gli stand e negozi interni per vendere cibo e paccottiglia al pubblico, a prezzi da ricatto. Il padrone della squadra di football di Washington, i Redskins, vende bicchieroni di birra che gli costano 50 centesimi a 8 dollari. Il presidente dei New York Jets si è inventato un diritto di prenotazione, una somma da versare alle casse del club per potere poi acquistare l’abbonamento, bontà sua. Parlate di marketing, di immagine, permessi di parcheggio, cibo e bevande, uso pubblicitario del «brand», carte di credito, contratti con stazioni radio e tv e vi ascolteranno. 

Parlate di «progetti», di «vittorie morali», di «coraggiosa prova», di «bandiere» e sbadiglieranno. La passione, come nei matrimoni dell’alta borghesia, verrà dopo, se verrà. All’inizio è l’interesse. I tifosi sono clienti e se le vittorie servono a scaldare il loro portafoglio bene, ma non sono indispensabili. Mediocri squadre, come i Dallas Cowboys o Washington Redskins di Washington, hanno visto il valore di mercato raddoppiare negli ultimi dieci anni, pur non avendo da tempo vinto niente. L’anno prossimo andrà meglio, vedrete. Ma la chiave di volta che regge l’arco del profitto è la televisione. E qui saranno gli americani a subire il «culture shock», a sbattere contro il muro. Il boom del football americano, oggi il solo che produca soldi con poche squadre di baseball come Red Sox o Yankees, coincise con l’arrivo dello «squalo» Murdoch che offrì alla Lega il triplo di quanto incassavano prima per i diritti in chiaro. DiBenedetto e i suoi «bean counters», i suoi contafagioli forse non sanno che nel calcio italiano ci sono conflitti di interessi non sportivi, giochi di potere che trasformano anche il calcio nella continuazione della politica con altri mezzi. Al momento di rinnovare i contratti con le tv, i bravi ragazzi di Tom si troveranno di fronte alle offerte che non si possono rifiutare. Ma questo, probabilmente, lo capiranno.