La penna degli Altri 04/03/2011 11:17

«Totti è la bandiera»

alla Roma. Ranieri non ne è convinto: «Ne dubito. Se fosse accaduto davvero avrei fatto bene ad andar via prima. Al mio interesse ho sempre anteposto quello del gruppo, ci ho messo la faccia, ho cercato un rapporto onesto ed aperto con tutti». Sul rinnovo contrattuale. «Non è stato possibile, ma a me interessava relativamente. Sarebbe stata soprattutto un segnale diretto alla squadra: quando venti persone sanno che sei in bilico per mantenere armonia generale serve saldezza d’animo». I suoi motivi per la degenerazione del progetto? «Le troppe voci, le false notizie, forse arriva questo, forse quello, domani firma Angelini, poi Angelucci, poi la notizia dello sbarco americano ha propagato il caos definitivo. La macchina è finita fuori strada e poi si è fermata ... Ci sono state reazioni che andavano punite, calci alle borse, musi lunghi, labiali in diretta tv da sanzionare per dare un esempio non è accaduto e si è fornito il lasciapassare all’anarchia. Non sono un personal trainer, alleno 25 persone».



Sui quattro minuti di a Genova: «Lo rifarei, era influenzato. Gioca chi è in forma e è un campione che in un minuto può cambiare volto e senso a una partita. Comunque non abbiamo mai litigato. Francesco è la bandiera della Roma e nello spogliatoio è probabilmente molto più solo di quanto non appaia». Su Doni: «Julio Sergio è un bravissimo ». La questione Pizarro: «David da tempo aveva problemi al ginocchio. Fin dall’estate si era allenato poco e male, non era pronto. Più lo difendevo dandogli il tempo di guarire più trovavo insinuazioni continue sui giornali. Siccome non sono un idiota l’ho preso molte volte da parte: "hai dei problemi con me? Ti ho trattato male? Dimmelo in faccia, se ho commesso un torto non ho paura di ammetterlo sono fatto così, non da ieri". Risposta: "No mister, nessun problema"». Poi, ancora sul cileno: «No, mai. Che le devo dire? Io sono diverso, per me la sincerità è fondamentale». Capitolo Marco Borriello: «Voleva giocare sempre, ma non è che nel Milan fosse costantemente titolare. Lo faccio partire dal 1’ con il e non vede un pallone, due giorni dopo analizziamo la gara, glielo faccio notare e mi risponde: "Ero stanco mister, venivo da tre partite consecutive". Allora non capisco forse sono tardo io: se sei stanco perché dovrei farti giocare anche la quarta e la quinta partita consecutiva?». Genova, giorno dell’addio: in tribuna sedeva l’agente Davide Lippi, ospite anche il primo giorno post a Trigoria…Ranieri dice: «Non volevano smarrire la continuità ». In generale sull’influenza dei procuratori: «Molto, sono la categoria più a contatto con i giornalisti, presidenti e giocatori». Sui giornalisti: «Sui collezionisti di cariche che commentano il calcio in tv preferirei tacere»



L’ultima gara di con lo Shakhtar, Roma in vantaggio ma Sky inquadra a bordo campo volti non proprio felici…
«Davvero? So che sono stato solo, solissimo. Da Madrid a Londra, da Torino a Roma, sempre una rivoluzione societaria. Me le vado a cercare con il lanternino queste situazioni. Nessun rimpianto, mi rimane un anno e mezzo meraviglioso. Mi ero fatto capire forse fin troppo bene: "se non correte tutti, non arriviamo. Con invidia, antipatia, gelosia e cura ossessiva del proprio orticello non faremo strada. Qualcuno sta pensando solo a sé stesso". Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire». I litigi in campo: «Un’infinità. Non aggiungerei altro. L’anno scorso eravamo uniti, poi lo scenario è mutato».

La preparazione: «Era semplicemente avveniristica, ma quando non conosci l’argomento e sproloqui per convenienza, malafede o pigrizia ragionare su cambi di direzione o tecniche anaerobiche è patetico. Capanna, il , è un luminare, gli hanno attribuito anche il premio di categoria. Le faccio una domanda io adesso: perché la Roma da Taddei a Brighi, passando per Mexes e Riise fino a Perrotta, correvano sempre e solo i soliti? Dopo i 18 anni, anche se è dura, bisogna decidere cosa si vuol diventare da grandi. Sai che penso? Che questa squadra non ha bisogno di altri alibi, deve vincere tirando fuori tutto meno le scuse altrimenti non ne usciranno e il mio gesto si rivelerà del tutto inutile».



Chi le è rimasto nel cuore? «Tante persone. Se devo fare un nome dico Burdisso. Un giorno parlai con la squadra: "Ho una convinzione, si gioca bene in base a come ci si allena", e lui pronto: "No mister, si gioca come si vive". Profondo, bellissimo, Burdisso non si nasconde, ti guarda negli occhi sempre».