La penna degli Altri 07/12/2010 10:09

«I calciatori devono poter parlare»

 

Cominciamo proprio dalla squadra giallorossa. Come l’hai vista al Bentegodi?



«La Roma è abituata, come tutte le grandi squadre quando sono in vantaggio, a gestire la partita. E su quel campo non era certo facile. Il Chievo l’ha messa sul piano agonistico, e la Roma ne ha un po’ sofferto. Non ho visto il terreno da vicino, perché ero in tribuna. Ma era sicuramente pesante. C’erano però i due capitani, l’arbitro. E se hanno deciso di giocare, probabilmente

vi erano gli estremi per farlo. L’anno, da queste parti, si sta rivelando fuori dalla norma quanto a precipitazioni. In settimana ero andato a vedere anche il Verona, e la situazione, se possibile, era addirittura peggiore».



Si vedevano ancora le linee tracciate per la gara di rugby giocata venti giorni fa. Che è ciò che ha tratto in inganno Taddei, con quel controfallo da cui è scaturito il secondo gol.



«Un episodio abbastanza curioso, quello. Ma se posso spezzare una lancia in favore di Verona,

è che il tempo, in queste settimane, non ha lasciato spazio neanche a chi avrebbe dovuto, e potuto, lavorare alla manutenzione dello stadio. Com’è vero che molte partite, in questo periodo dell’anno, possono avere questa problematica in più».



Può essere, questo dei campi al limitedell’impraticabilità, un altro tema all’attenzione dell’Associazione Italiana Calciatori, visti anche i rischi per la salute dei giocatori?



«I temi possono essere tanti. Dipende solo dalla volontà di discuterne. Che, purtroppo, spesso manca».



Domani (oggi, ndr), Lega e Sindacato saranno di nuovo chiamati a confrontarsi. Cosa ti aspetti?



«Come consigliere dell’Aic, non posso che ribadire quanto già espresso dall’associazione. Personalmente, sono sorpreso che la Lega dica determinate cose all’esterno ma poi, nei fatti, ne sostenga altre».



Che idea ti sei fatto della situazione?



«Mi sembra che, da parte delle società, si voglia avere dei “paracadute”: a scelte che, col passare

degli anni, possono non rivelarsi felici, o a contratti che magari ci si pente di aver sottoscritto. L’Associazione ha sempre partecipato alle riunioni con l’intento di portare avanti la trattativa. Anche mettendo dei paletti, certamente. Si parla tanto di momento critico, ma – al contrario di quanto si racconta - mai come

quest’anno le società di A hanno avuto introiti così elevati dai diritti televisivi. Se la gente però sente parlare d’altro, si fa un’idea diversa. Il problema, ancora una volta, è quello di definire il ruolo dei giocatori. Che non vuole essere quello di chi decide, ma di chi vuole poter dire la sua, senza passare per “ricco viziato”. Ricordiamoci anche che dovere del sindacato è quello di tutelare chi ha meno forza contrattuale.

Il problema dei “fuori rosa”?

O si fa parte di una squadra o non se ne fa parte. Oggi, con l’accordo attuale, se un giocatore non rientra nel progetto, ha almeno la possibilità di allenarsi. Diverso il discorso se l’allenamento in gruppi separati è dettato da esigenze tecniche».



Le società lamentano un potere crescente da parte dei giocatori.



«Purtroppo, si fa finta di dimenticare che, in calce ai contratti, ci sono due firme, apposte in maniera libera: quella della società e quella del calciatore. Che sottoscrivono un accordo nel pieno delle loro facoltà mentali. Nessun calciatore ha mai imposto un contratto alla società. Per farlo, il contratto, bisogna essere in due. Con regole, clausole, certamente. Ma nel rispetto reciproco. Penso ai trasferimenti obbligatori. Il concetto è sempre lo stesso: voler disporre del calciatore.

E per farlo, ci si aggrappa spesso agli esempi negativi, servendosene». Si può essere ottimisti?



«E’ dal 1° luglio che i giocatori sono senza contratto collettivo. Nel frattempo, ne sono stati firmati tanti, di nuovi contratti, compilati ancora sul modulo del vecchio accordo. Con molti punti di domanda. Che, oggi, mi auguro trovino risposta».