La penna degli Altri 06/12/2010 10:19
E Totti si riprende la "sua" Coppa da Capitano
È proprio alla gente, ai tifosi della Roma, che Francesco si rivolge. È a loro che pensa, dopo la delusione di Verona. Avrebbe voluto giocare, dare il suo contributo, piuttosto che rimanere in panchina per 90 minuti,
chiuso nel suo giaccone e in quel cappello che gli copriva il volto, occhi esclusi. Ha visto la Roma dominare nel primo tempo e crollare nel secondo, col fuoco che gli bruciava dentro per non essere in campo. Ma
non ha detto nulla e già da mercoledì è pronto a prendere di nuovo il suo posto in campo. In quella competizione che per lui rappresenta il sogno, la luce, il coronamento di una straordinaria carriera. Qualcosa
che «difficilmente raggiungerò, ma finché giocherò ci proverò», come ha sempre detto. In pubblico e in privato. Ai giornalisti e agli amici. Persino a Cristian, che la prima volta che ha visto il papà allo stadio era il 9 luglio 2006, finale - vinta - di Coppa del Mondo. Meglio non pensarci, per ora. E concentrarsi su traguardi più immediati, entrambi raggiungibili a Cluj: la qualificazione agli ottavi e il gol numero 250 in giallorosso. Quasi tutti segnati con la fascia al braccio. Quella stessa fascia che significa Capitano e di cui, sempre a Repubblica dice: «Cosa significa essere capitano. È forse la domanda che mi hanno fatto più di frequente ed è quella a cui rispondo con più difficoltà. Posso raccontare in una frase tutti i sogni di un bambino? Posso racchiudere in poche parole tutto lo spirito di una tifoseria? Posso trasmettere cosa si prova a entrare allo stadio con quella fascia, salire quei gradini ed entrare nella luce, nel rumore, nella storia
e sentirsi forti, parte di qualcosa».
Proprio come altri grandi campioni che, prima di lui, hanno guidato la Roma: «Qualche tempo fa ho incontrato a Trigoria Luca Di Bartolomei, che mi ha portato la maglia di un grande capitano, dell´indimenticato Ago. Ho sentito disagio, non avrei voluto neanche toccarla né toglierla dalle mani del figlio. Per me è come una reliquia e lo è perché Agostino è stato sempre e per tutti un grande capitano, una delle incarnazioni della Roma, come Losi, Giannini, Amadei. Cosa provo ad essere l´ultimo di questa schiera? Orgoglio e grande senso di gratitudine per tutti quelli che mi hanno accompagnato sino a qui: i miei genitori - dice ancora Totti - i miei allenatori, tutti i compagni che hanno giocato con me, la famiglia Viola, la famiglia Sensi, tutti coloro che in questi anni hanno lavorato insieme a me a Trigoria e i tifosi, tutti, che continuano a cantare "c´è solo un capitano"». Mai frase fu più azzeccata, per descrivere cosa è stato, è e sarà sempre Totti per la Roma. Dopodomani se la riprenderà, ancora una volta, guidandola verso un sogno che
appare impossibile ma che vale la pena essere vissuto. Fino allultimo secondo.