La penna degli Altri 06/11/2010 12:31

Ogni giorno è derby perché tifa Roma e... non perde mai

L’antilazialità di ogni autentico romanista è questa: non capacitarsi di dover affrontare- indicativamente
due volte a campionato - una squadra che non ha il nome, né il simbolo, tantomeno i colori della tua à. Il derby è questa sfida alla surrealtà. A Matrix. A qualcosa che non esiste nel cuore di chi Roma la ama. Come una mamma, come un amore, come - questa sì - una condizione eppure insieme una scelta di vita. La Roma per  è Natura e Cultura. Sentimento e civilizzazione. Parlare dei suoi derby, o dei suoi migliori derby è per lo meno riduttivo e più difficile di saper raccontare il silenzio, dialettizare un urlo, ci attestiamo a capolavori filosofici heideggeriani di questo livello. La sfida di De Rossi alla Lazio è totale. E’ tutto senza essere un’oncia provinciale. Qualcosa di più poetico, eroico e donchisciottesco possibile non c’è, pensateci: dare tutto per combattere il niente. E continuamente. Senza tregua. Ogni secondo, Ogni battito di ciglio. Ogni tum-tumdentro. Dov’è Lorca?
 
Il miglior derby di è una battuta a Via delle Baleniere a Ostia con quei pochi laziali che puoi trovare da quelle parti come a Roma (d’altronde Ostia è Roma). L’assist migliore è un sopracciglio che si corruccia,
l’apertura per un compagno una battuta o uno sbadiglio. Il derby per è pura quotidianeità, un basso continuo, un solaio, il pavimento della giornata, una casa. E tutto questo non è per niente un modo di dire. Se chiudi gli occhi e pensi a e alla Lazio, oltre a fare un enorme esercizio psichedelico, ti vengono in mente le sue parole dopo il derby vinto 3-2 nel terzo anno di Spalletti: «Non vedo l’ora di vede’ certe facce,
lo dedico a quel laziale che mi chiama alle 3 di notte...». E’ pura prosa del quotidiano, una sveglia per andare al bagno o a prendersi la pasticca.
 
Quando l’anno scorso Cassetti ha fatto contento il cielo, a fine partita è andato da un suo amico urlandogli in faccia: «Lo vedi perchè sto a Roma!? Lo vedi perché io non me ne vado da Roma!?». Poi nello spogliatoio non finiva di ripetere pensieri e parole di questo tipo: «Uno a zero e ha segnato Cassetti! E all’ultimo! E poi con lo stinco! Hai capito, ha segnato Cassetti con lo stinco alla Lazio alla fine!!». Non era solo la descrizione di un attimo, una canzone, erano esattamente i sentimenti che aveva qualsiasi romanista, qualsiasi romanista vero, qualsiasi altro romanista come Daniele De Rossi. Erano i sentimenti che un tifoso della Roma si portava a casa quella notte di dicembre. Roba con la quale svegliarsi insieme al sapore dolcissimo del caffè. Cose che costituiscono non solo la tua giornata, ma ricordi della tua vita, che è stata quella di calciatore soprattutto perché ti sei messo a seguire una passione, fra l’altro di famiglia, a praticare
un sogno che c’avevi da ragazzino, da quando facevi giro-girotondo e dovevi ancora imparare le tabelline.
 
E così un altro derby di è veramente un girotondo, fatto insieme ai suoi "compagnetti" che avevano
appena vinto l’undicesima volta di fila proprio nell’occasione più importante, con un segno meno (-) aggiunto al numero 16 della maglia perché coincidente col distacco in classifica di "quelli". Una bella risata. Grassa.
Smargiassa. Romanista. E’ un derby per De Rossi. Una bella risata, non di quelle preparate e preconfezionate, ma di quelle che non riesci a trattenere nemmeno in diretta a Sky quando ti chiedono un commento sulla giornata di campionato giocata al pomeriggio - mentre la sera vai a Firenze a battere la - perché l’Atalanta e simili hanno vinto, la Lazio ha perso in casa col Catania di Maxi Lopez ed è terzultima in classifica.
 
Lo stato d’animo di un popolo. Questi sono i derby di . Storie di tutti i suoi giorni. Poi il resto è un accidente, una congiuntura, una casualità. Il primo derby vinto - che era proprio la prima settimanda di novembre del 2003 - dopo il tacco di Mancini e la fiondata a Olympia di , con lui entrato 8’ apposta per stare 8’ attaccato al vetro della Sud, battendoci con un pugno. Fasciato per qualche partita, fasciato pure quando l’ha alzato al cielo il giorno del derby vinto dalla Bestia. L’aveva mozzicato lui. E quello vissuto come tifoso e basta - finalmente un’altra volta a casa - l’anno scorso, l’ultimo, quando Ranieri ha capito che il posto di Daniele  era in . Che per vincerlo in campo bisognava fare così: riportare l’acqua al mare.
 
E tutti quelli sempre giocati male secondo certa critica che dice - dice, dice - che De Rossi il derby lo sente troppo e per questo non rende al meglio (citazione da manuale). Ma non è così. Semmai è più vero che è sfinito perché lo gioca ogni giorno, ogni sempre, ogni secondo. Che il derby in campo è un accidente,
soltanto un’ora e mezza in un’eternità che ha già raccontato altro e chi è il vincitore a Roma.
 
Tutto questo è a prescindere, al di là del risultato, perché  che gioca nella Roma non perde mai: perché la tifa. La ama. Lo ha dimostrato proprio quando stava perdendo 3-1 e con un uomo in meno. E’ quella volta che ha segnato il suo primo e unico gol contro la Lazio. Sotto la Sud. Contro la Lazio. Ripetiamolo perché è bello: sotto la Sud, contro la Lazio. La cosa più bella non è stato un gol bello e inutile come quel risultato, ma la corsa affannata e senza fiato che s’è fatto per andarsi a prendere il pallone nel sacco, come se l’è messo sottobraccio per riportarlo a centrocampo, come un ragazzino portato via di corsa da un pericolo, per rigiocare subito, per non perdere mai, per la Roma, contro la Lazio. Oggi, adesso, sta ancora facendo quella corsa. Lo vedete?