La penna degli Altri 06/10/2010 09:40
Rivera: «Lallenatore è sempre lanello debole»
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sua autorevolezza.
Tanto per cominciare, per molti, il Capitano è già diventato una sorta di capro espiatorio.
È normale che sia così. Essendo il giocatore più rappresentativo, quando le cose vanno male, diventa anche quello più responsabile.
Al punto da poterlo considerare addirittura un problema per il gioco della Roma?
Questa è una cosa che possono sapere solo quelli che vivono nello spogliatoio. Dallesterno, si può pensare che possa essere così, ma se non lo dicono loro... Per il momento, mi sembra che i giocatori abbiano cominciato a parlare "contro" Ranieri. Limpressione che ho, per ora, è che lo spogliatoio abbia pensato di liberarsi dellallenatore. Che, non a caso, da sempre è lanello debole. E anche quello più facile da cambiare. Con lanello più resistente, invece, non ti azzardi a scontrarti. Perché puoi farti male. Mi limito a dire ciò che noto dallesterno. Come al solito, non si risolve così il problema. Anche se, in genere, se si deve fare qualcosa, si sceglie il male minore.
Ritiene che le vicende societarie possano incidere psicologicamente sul rendimento di tecnico e giocatori?
Quando ci sono situazioni di questo genere, centrano tutti. Anche il magazziniere. Probabilmente incide il fatto che la proprietà viva oggi una fase transitoria. Ho vissuto qualcosa di simile al Milan. Ci furono un paio di periodi in cui non si sapeva chi fosse il proprietario e la squadra non è che andasse benissimo...
Qualche problema, insomma, labbiamo avuto. Se penso che due presidenti sono addirittura scappati....
Qui a Roma, come sa, scattano subito i retropensieri. E cè chi ipotizza che qualcuno abbia interesse ad affondare la Roma per favorire un eventuale acquirente che la comprerebbe a prezzi stracciati.
Ho limpressione che, alla Roma, difficilmente potrebbe succedere questo. Ovvero, che qualcuno possa pagarla di meno. Penso semmai che, anche per il nuovo acquirente, è meglio che la Roma vada bene. Perché se va male, ha solo da perderci. Innanzitutto, perché la pagherebbe comunque la stessa cifra, avendo in cambio qualcosa che vale meno di quanto gli costa. E poi - immagino - perché perderebbe tutti i vantaggi economici che gliene deriverebbero.
Lei che idea si è fatta di ciò che sta succedendo ad una squadra che lanno scorso aveva la miglior difesa del campionato e ora la peggiore?
Il calcio è bello per questa ragione. Che non cè niente di assoluto. Tolto qualche valore individuale, che costituisce un dato oggettivo, il rendimento, anche quello individuale, può modificarsi in corso dopera. Di conseguenza, e a maggior ragione, si modifica la squadra. Se si sapesse perché una squadra non funziona, tutte andrebbero bene. Se hai linfluenza, sai che se prendi unaspirina, e di solito stai meglio. Se hai qualcosaltro, che non capisci cosa sia, devi andare invece da uno specialista. E non è detto che questo sappia sempre dirti che coshai. Nel calcio, poi, non ci sono malattie definite e sempre diagnosticabili. Magari cè una malattia che può essere tutte le malattie messe insieme.
Cè chi rimprovera al tecnico di aver cambiato modulo ad ogni partita. Questa "cosa" dei moduli
(sorride, come di fronte a qualcosa che è lontano da lui, ndr). O si cambia la misura del campo, e allora bisogna adattare il gioco ad un campo diverso. Ma il campo è sempre quello, e allora, o occupi le zone di campo che vanno occupate
È tutto molto semplice. Cosa vuol dire "difesa a tre"? E se attaccano in quattro? Cosa succede, stanno sempre in tre? Spesso, diventano cinque. "Ma non dovevano essere tre?". E vabbè, stai a guardare il capello
Sarà, ma a me queste strategie fanno sorridere.
Lei ha giocato fino a 36 anni, in unepoca in cui, peraltro, le carriere duravano anche meno di oggi. Cè chi sostiene che lo stesso Totti dovrebbe, per allungare ancor più la sua, cominciare a dosare le proprie forze.Magari, saltando qualche partita.
Giocare per ventanni, come è accaduto a me, non è mai facile. Non lo era allora e non lo è adesso. Poi, sono scelte individuali e ognuno reagisce in un modo diverso dallaltro. E neanche gli si possono dare suggerimenti. Ricordo che io, ma era lultimo anno che ho giocato, mi sono autoescluso in un derby, perché più che fisicamente ero psicologicamente in crisi con me stesso. Ero cioè convinto che non avrei potuto dare il mio contributo. Quando glielo dissi, Liedholm mi rispose: "Ma sei sicuro?". Quasi non ci credeva. Lui, come Rocco, mi mandava in campo anche quando ero rotto. Mi diceva "ma va là, non hai niente!". Quella volta accettò. Ma perché fui io a decidere. Penso che chiunque viva su un palcoscenico, quale che sia, deve essere lui a decidere quando è il momento di dire basta. Ancor più se sei un elemento determinante in un gruppo. Per una questione di rispetto nei propri confronti. Perché se sono gli altri a dirtelo, è molto peggio. Il problema è che non sai mai quando è il momento giusto. Quando ho smesso, è stato perché ormai mi sentivo più dirigente che giocatore. E non volevo diventare un peso per lallenatore. Naturalmente, non è questo il caso. Perché Totti mi sembra ancora in piena condizione per andare avanti e per lungo tempo. Ma, di certo, non è bello che qualcuno dica che ogni tanto deve saltare qualche gara.
Ai suoi tempi, capitava spesso che giocatori del Milan arrivassero a Roma o che da Roma si trasferissero in rossonero. Qualche nome: Cudicini, Sormani, Schnellinger, Prati... Anche per Totti, tanti anni fa, si parlò di un possibile passaggio al Milan. Per lei si è mai profilata la possibilità di andare altrove,magari di venire proprio a Roma?
A quei tempi, ovviamente, cera il vincolo. Ricordo che quando Buticchi mi prospettò la possibilità di andar via, scoprii anche che chi mi avrebbe dovuto prendere, in realtà non mi voleva. Reagii in modo anche forte e, fortunatamente, non se ne fece niente. Si trattava di andare al Torino in cambio di Claudio Sala. Ma Orfeo Pianelli disse: "Io non sono mica un antiquario". E allora, gli risposi che per fare lantiquario ci vuole cultura e intelligenza, che lui evidentemente non aveva.
Torniamo a Totti. Di Rivera ci aveva incuriosito, nei giorni scorsi, la sua dichiarazione in favore del capitano giallorosso come giocatore meritevole di aggiudicarsi il prossimo Premio "Golden Foot". Quello che dal 2003 viene assegnato al calciatore che, tra i grandi campioni in attività (e compiuti i ventinove anni), abbia ricevuto più voti, via web, dai tifosi di tutto il mondo tra i dieci selezionati da una giuria di giornalisti internazionale. Tra le nomination di questanno, oltre a Francesco Totti (alla sua terza candidatura), anche Beckham (che ne ha collezionato addirittura 7 in 8 edizioni), Buffon, Drogba, Etoo, Gerrard, Giggs, Puyol, Raul e Seedorf. Ma perché proprio Totti? È ovvio dire per quello che ha fatto in tutta la sua carriera. Nonostante il suo svantaggio, che è ancora una volta quello di giocare in una squadra che non ha vinto la Champions League. Nove volte su dieci, infatti, chi vince il Pallone dOro, ma anche il Golden Foot, o - che so - il Premio Uefa come Miglior giocatore dellanno, ovvero un premio individuale, è qualcuno che ha trovato visibilità attraverso una grande competizione. Basti dire che le giurie sono composte da soggetti che girano il mondo, e che, quindi, se non ti vedono in giro per il mondo, come fanno a nominarti? Per giunta, lui ha scelto di non giocare più in nazionale. E anche questo lo ha penalizzato, perché la sua visibilità si è ridotta. Io ho vinto il Pallone dOro nel 1969, anche se il mio miglior campionato è stato quello del 67. Ma, non avendo vinto quellanno la Coppa dei Campioni, e giocando poco con la maglia azzurra, non mi vedevano. Questo vuol dire che se non ti aiuta la squadra, è difficile arrivare a vincere un premio così.
Da questo punto di vista, tra i dieci candidati, Totti rappresenta quasi uneccezione.
Non a caso, gli altri hanno tutti vinto qualcosa. O con le squadre di club, o con la propria nazionale. La loro è una apparizione costante in campo internazionale. Lui, sotto questaspetto, parte svantaggiato. Mi viene da dire, anche per sua scelta. Perché io alla nazionale non ci avrei rinunciato.
Anche se Totti, con la maglia azzurra, può comunque dirsi Campione del Mondo
«Di sicuro è stato meno fortunato di un Paolo Rossi, che con appena venti giorni di presenze vinse il campionato, e poi, vincendo anche il Mondiale, si aggiudicò il Pallone dOro.
O di Fabio Cannavaro, che lo ha vinto proprio nel 2006...
Lì, come giusto, fu premiato un giocatore della nazionale italiana. Senza nulla togliere a Cannavaro, che fece certamente bene, io però lavrei dato a Buffon. Un portiere è difficile che lo vinca, ma in quel caso, secondo me, lui fu ancora più determinante. Ricordo che la prima volta che fui in corsa per il Pallone dOro, mi ritrovai secondo perché si scelse di dare un premio alla carriera a Lev Yashin. E fu giusto darglielo.
Ci ha anche colpito - ma non stupito, visto che lei è stato tra coloro che hanno dato vita allAssociazione Italiana Calciatori - la sua attenzione verso i temi che, nelle settimane scorse, avevano spinto i giocatori a proclamare lo sciopero.
Ho detto che ci voleva la diciottesima regola, in aggiunta alle 17 del gioco del calcio, ovvero quella del buon senso. Non si capiva per quale ragione uno dovesse annunciare uno sciopero solo per farsi sentire. Bastava dire io voglio parlare con te e, appunto, usare un po di buon senso. Resta il fatto che andrebbe guardata con grande attenzione la situazione attuale. Ovvero, cosa vogliono i calciatori e cosa le società vogliono che i calciatori siano. Dove nessuno deve tirare da una parte o dallaltra. Perché linteresse deve essere il gioco del calcio e, per essere utili, tutti devono concorrere a far sì che, chi ha la possibilità diventi un calciatore, e chi non ce lha, diventi perlomeno un buon cittadino. Perché intanto impara delle regole e, se non può applicarle nel calcio, almeno che gli valgano nella vita di tutti i giorni. Quarantanni fa facemmo nascere lassociazione per dare delle tutele a quei giocatori - non certo noi, che giocavamo in nazionale - che non ne avevano. Cera allora, come purtroppo cè ancora oggi, chi non veniva e non viene neanche pagato.
Il calcio è molto cambiato da allora. In cosa in meglio e in cosa in peggio?
I calciatori hanno sfruttato linteresse dei presidenti sul piano economico. Credo che lerrore sia stato quello di puntare ad un aumento esponenziale degli introiti, sia da parte delle società che dei giocatori, rispetto al
contenimento delle spese. Le cui somme potevano invece essere riversate su investimenti produttivi, come quelli nel settore giovanile, che sono utili alla civiltà di un Paese. Insomma, serviva che tutti insieme ci si coordinasse per far sì che il calcio rimanesse quello che è. Nel testo della Federcalcio cè ancora scritta la parola "giuoco", con la "u", che non si usa più. Perché lo hanno snaturato. Ed è diventato solo un "gioco". Torniamo a metterci la "u", perché il calcio deve essere soprattutto divertimento, partecipazione. Anche voglia di vincere e avere ragione dellavversario, perché lo sport è fatto di queste regole. Gli interessi economici ne
hanno invece distorto il senso, la vera ragione del calcio. Torniamo a lavorare sui giovani, affinché il ct della nazionale non possa dire che li vorrebbe nella sua squadra ma, purtroppo, non ce ne sono. Riorganizziamoci, per tornare davvero al giuoco. Quello con la "u" dentro.