La penna degli Altri 06/10/2010 11:10

Lazio caput mundi e Roma burina. Adesso il calcio va al contrario

A destra, Edy Reja. Compirà 65 anni domenica. Guida la Lazio dal 10 febbraio 2010. Goriziano, ha allenato, fra le altre, , Cagliari, e Torino. A sinistra, Claudio Ranieri, compirà 59 anni il prossimo 20 ottobre. La sua Roma nel 2009-2010 ha chiuso seconda in campionato

La Roma capitale, la Roma caput mundi, la Roma che si racconta nobile e popolare, quella con il dna al Testaccio e Verdone o Venditti come testimonial, non si è mai sentita così umiliata. E rosica. Ci sta male, si vergogna, non ci crede. Sono le 11 del mattino e il di uno stabile di Prati, arrivato in capitale da Alatri, entra in un bar con la foto sbiadita di Falcao alle pareti e prima di chiedere il secondo cornetto e cappuccino della giornata butta lì un S.P.Q.R. «Ma che sei leghista?». «No, ciociaro». «E che vuoi?». «Nulla. Solo S.P.Q.R.». «Embè». «Sono penultimi questi romanisti». La risposta del barista è in tre parole: «Nun fa ride».


Non c’è nessuna à in Italia con una disfida così forte. Neppure Milano. Roma e Lazio sono due ideologie. La frattura è antropologica. Tutti e due sono convinti di avere un quarto di nobiltà in più rispetto agli altri. I romanisti sono secoli che vanno avanti con questa storia dei burini: «Non semo cugini. Al massimo ve famo da padroni». La verità è che i laziali vengono prima e da quartieri più ricchi come Prati o Parioli. È per questo che quando li chiamano burini la prendono male. I laziali si sono sempre considerati l’aristocrazia di Roma. Ai devoti di sor Mazzone qualche anno fa rispondevano così: «Un cantante di Campobasso, una spogliarellista de Fiano, un presidente marchigiano e dite de esse romani?».




I romanisti sono il cuore. Si sentono padroni delle viscere di questa à. Sono la lupa e la leggenda. È la Roma dei palazzinari rossi. È la Roma che si crede colta ma parla coatta. È la Roma che ogni generazione si sceglie un nuovo re. La Lazio è più anarchica. Non ha padroni. Non dona il cuore a nessun giocatore. Non si fidano. Ne hanno visti troppi andare via e quasi tutti l’hanno tradita. Hanno visto crescere e tradire Giordano. Manfredonia pugnalarli alle spalle. Chinaglia illuderli come un magliaro americano. Non c’è nessuno a cui fare un monumento. Neppure D’Amico o Di Canio meritano un altare tutto loro.




La Lazio ha sputato sangue in serie B. La Lazio è il gol di Poli contro il Campobasso in un drammatico spareggio per non sprofondare in serie C. La Lazio non si fa mai illusioni. Sa che tutto passa. Ogni volta che tocca il cielo dietro l’angolo c’è una disgrazia. Si aspetta il peggio. La Roma no. La Roma ci crede sempre. Anche quando sdrammatizza tutto in fondo ci crede. Quel «non succede, ma se succede» non è disincanto. È non saper resistere all’utopia. La Roma in fondo crede che sia eterno, che Adriano sia un falso magro, che due «Burdisso siano meglio che uan». È per questo che quello che sta accadendo per loro è solo un incubo. Un brutto sogno da cui prima o poi si sveglieranno. Non è possibile. Non riescono a spiegarsi come abbia fatto Lotito a scovare un brasiliano come Anderson de Carvalho Andrade Lima, in arte Hernanes. E forse questa è la beffa maggiore. Pensate se la Lazio vince lo scudetto con uno che tra la sfilza di nomi ha pure quello di Andrade. Andrade chi? Andrade quello che faceva coppia con Renato. Il brasiliano che doveva essere l’erede di Falcao. Andrade la lumaca. Andrade con la moviola in campo. Il mondo davvero si è rovesciato e come dicono i laziali: Roma caput Burundi.