La penna degli Altri 30/08/2010 10:31

Totti, l’extraterrestre è lui


che lampeggiavano, se ne andavano via. Non potevano essere elicotteri, né aerei, li hanno filmati persino dei militari, ne hanno parlato i telegiornali e come si fa quando mancano le parole li hanno chiamati come sempre Ufo, acrostico di Unidentified Flying Object, oggetti volanti non identificati. Tutte fregnacce. Non è vero niente. Perché se nell’universo non siamo soli il motivo è un altro dallo spazio infinito: è che c’è . C’è. C’è e basta. E c’è pure la controprova. Gli avvistamenti più importanti sono stati registrati verso Roma Sud, tra la Colombo e il mare, un’ora-due dopo la partita della Roma col Cesena: orario e luogo coincidono, esattamente quando stava tornando a casa sua al Torrino. Una scia luminosa dall’Olimpico al largo dei bastioni di Orione, intercettata soltanto da Antonioli che sembra Spock e che è sempre parso un vulcaniano anche quando parava e non parava per la Roma. Per la Roma invece ha


fatto sempre tutto.

 

La grandezza del più grande è che si fa vedere anche in simili occasioni, anche in un Roma-Cesena che non può eccitare troppo nemmeno se vinci, pensa se sbadigli zero a zero. La grandezza del più grande è farsi vedere da un buchetto di una partita piccola piccola e anche dal sapore inutile, proprio come fosse un puntino luminoso in una notte oscura e scontata. Un Ufo in questi tempi tristi. Uno schizzo d’artista. Nella normalità, persino nella frustrazione di un sabato sera con poca febbre, ha illuminato, è apparso, ha innamorato. E non sono parole. ha impressionato col Cesena di un’impressione che non dava da tempo. Nemmeno l’anno scorso quando aveva una media gol da oratorio prima dell’infortunio (intendi: una dozzina di gol a partita) era sembrato così bello, forte, dentro alla cosa, così sempre . E il miracolo non è che questo accada a trentatrè anni (lui è già risorto un paio di volte mentre ancora ogni tanto lo mettono in croce ) e dopo

cinquecentosettantadue presenze e duecentoquarantacinquegol con la stessa maglietta, il miracolo è che ogni volta lo fa in maniera sempre più forte, tanto da stupire persino i più fedeli. Quanti romanisti in fondo in fondo - sinceramente - si aspettavano una prestazione simile? Oppure per fare un esempio e per cercare di restituire lo stesso il senso: è imbarazzante soltanto pensare che un giocatore del genere non fosse presente all’ultimo Mondiale in Sudafrica. Sono esempi appuinto, che non riescono a dare in fondo quello che un tifoso della Roma, un qualsiasi tifoso della Roma ha provato sabato sera a vedere quelcapitano giocare col cuore. E di cuore si tratta davvero, non sono parole.

 

In settimana Francesco aveva indossato la maglietta che Agostino Di Bartolomei indossò il 30 maggio 1984 contro il Liverpool. Bianca luce l’hanno definita una volta, e non c’è definizione più bella. L’ha ricevuta

dal collezionista - definizione stretta invece - Paolo Castellani consegnata insieme a Luca Di Bartolomei. E’ una storia bella, una grande storia, di padre in figlio. Una storia Storia. Il capitano che indossa la maglia delle maglie del capitano. E lo ha fatto con pudore (come attraversare il cielo di notte senza farsi identificare). Così come con pudore ha sussurrato la dedica che avrebbe voluto fare «a Daniele» un ragazzo che non c’è più e che aveva giocato a pallone con lui. Ma questa storia adesso sta direttamente in cielo. E non si può riprendere con telefonini, telegiornali. E non è il caso di dire parole quando mancano.