La penna degli Altri 03/08/2010 10:30
Proprio vent'anni fa arrivò un certo Aldair

Sulla panchina giallorossa, intanto, è arrivato Ottavio Bianchi, allenatore dalla fama di sergente di ferro reduce dai successi di Napoli. Dino Viola lo ha fortemente voluto e per averlo ha anche atteso un anno, passato con Radice al Flaminiio.
La squadra lasciata da Giggiradice ha entusiasmato la folla giallorossa arrivando, in inverno, a toccare le cime di un campionato dominato dal Milan. In primavera, però, è inevitabilmente calata e soprattutto al centro della difesa ha mostrato delle crepe da rinsaldare. Tempestilli, Comi, Berthold, Nela e Carboni hanno fatto il loro, ma lesigenza di rinforzare il reparto con un grande campione è lampante.
Gli occhi di Viola e dei suoi osservatori si posano su un centrale brasiliano taciturno ma dalla classe immensa, che ha i capelli alla Arnold e gioca nel Benfica. Di nome fa Aldair Nascimento dos Santos, ma per tutti è semplicemente Aldair e a consigliarlo allIngegnere è proprio Sven Goran Eriksson, tornato sulla panchina del Benfica dopo la sua prima parentesi italiana, iniziata su quella della Roma.
La trattativa per acquistarlo è lunga ed estenuante, anche perché coincide con lapprodo del Benfica alla finale di Coppa dei Campioni con il Milan, nella quale Aldair annulla Van Basten. Il presidente del Benfica un giorno sembra darlo e laltro negarlo, anche perché intanto nella corsa al cartellino del brasiliano si inserisce anche la Fiorentina.
Il prezzo, dunque, lievita ad ogni ora e dopo la bella prestazione nella finale continentale sale ancora di più. Alla fine, però, Viola la spunta, lasciando così una magnifica eredità alla sua Roma. Alla Roma Aldair rimane per ben tredici stagioni, fino al 2003, quando se ne va dopo aver vinto 1 scudetto, 1 Coppa Italia e 1 Supercoppa Italiana e collezionato 330 partite in A con 14 gol più 64 nelle Coppe Europee e 4 reti. Per tutti, intanto, era diventato un leader silenzioso e un sicuro punto di riferimento, specie per i brasiliani, che appena arrivano nella Capitale sanno subito a chi chiedere consigli e segreti. I suoi connazionali pendono dalle sue labbra come i fedeli da quelle del predicatore.
Dalla Roma ha avuto in dono il ritiro della maglia numero 6 col suo nome, un omaggio a colui che è stato una delle sue bandiere, tanto che pur avendo cambiato sette allenatori non ha mai perso il posto di titolare al centro della difesa, dove ha fatto coppia con Comi, Tempestilli, Berthold, Zago, Samuel e tanti altri compagni di avventura che gli hanno sempre manifestato riconoscenza e stima. Sentimenti che si possono provare solo nei confronti di un uomo vero come lui, arrivato alla Roma venti anni fa al termine di una lunga trattativa proprio come quella che di questi giorni per Burdisso.