La penna degli Altri 17/08/2010 12:59

Indimenticabile. Franco, Piola e il derby scippato

Quando nel 2008 si festeggiò il centenario della SGS Fortitudo, Maria Sensi intervenne e, spiegando le motivazioni della sua presenza, disse più o meno questo: «So che se mio marito avesse potuto, oggi sarebbe

stato qui. Conservava gelosamente tutto quello che riguardava il Pro Roma e la Fortitudo, squadre in cui aveva giocato suo padre Silvio
». Poco prima di andare via, prendendo congedo da Fratel Ambrogio Annoni,

Maria Sensi si rivolse all’erede di Fratel Porfiro dicendogli: «A casa ho un armadio pieno di carte, foto e ricordi che Franco conservava e molte riguardano la Fortitudo, che

sarà sempre nel nostro cuore
». Quando questo “armadio” di ricordi verrà aperto, certamente nascerà un libro

fantastico che ci consentirà di conoscere meglio Franco Sensi, la vita, i sogni e l’avventura della sua vita. Fino ad allora, fornire particolari inediti che lo riguardano sarà

sempre più difficile, perché la parte pubblica della sua esistenza è ormai divenuta un patrimonio di conoscenze custodito da un’intera à.

Oggi, nel secondo anniversario della scomparsa, ho però provato a scandagliare il mio archivio alla ricerca di

un episodio se non inedito, quantomeno poco conosciuto dalla grande massa dei tifosi della Roma. Da questo tentativo è nato un resoconto, fatto di un misto di testimonianze orali e ricostruzioni romanzate di una

giornata di Franco Sensi del 16 marzo 1941
.

A 15 anni, un buon modo di passare la domenica sarebbe stato quello di andare a vedere un film, magari Cuori nella tormenta, con un giovane Alberto Sordi irrispettosamente doppiato dal pur bravo Gualtiero De

Angelis. Persino l’Illustrazione Italiana, però, stroncava la pellicola. E poi, siamo seri, chi ha voglia di vedere 90 minuti di corteggiamento tra una guida alpina e una giovane eccentrica precipitata con il proprio aereo in un paesino alpestre? Ad essere sinceri poi, Franco aveva un’idea ben precisa di come impiegare i 90 minuti in questione e anche le ore che li avrebbero preceduti.

Prima ancora dell’alba tutto doveva essere pronto, Franco, suo padre e un gruppo di amici sarebbero andati a caccia. Al ritorno, un salto a casa per una rapida doccia e poi di corsa allo Stadio Nazionale per assistere

al Derby. Una partita importantissima con la Roma e la Lazio immischiate fino ai capelli nella lotta per non retrocedere, con i giallorossi a 21 punti, e i cugini a 19, ad una sola lunghezza dalla zona retrocessione. Franco non faticò a svegliarsi, era carico a mille anche perché quella mattina, nel gruppo che gli avrebbe fatto compagnia c’era anche Silvio Piola, centravanti della Nazionale e purtroppo della Lazio. Aveva tormentato suo padre per sapere perché quel campione straordinario non fosse passato alla Roma. Silvio sorrideva, era

al corrente di molti particolari della vicenda che nel 1934 aveva portato Piola in biancoceleste, perché il suo amico Guido Cipriani, vice-presidente della Pro Vercelli, gli aveva confidato come erano andate le cose. Silvio sapeva che in quella vicenda, in quelle 250.000 lire che erano servite a portare Piola sulla riva sbagliata del Tevere, lo sport non centrava nulla. La politica aveva deciso e questo era quanto.

Ora camminavano nel bosco, con le armi a tracolla, più tardi Franco avrebbe rinnegato la caccia dopo che una faggianella a cui aveva tirato era spirata tra le sue braccia guardandolo negli occhi. Arrivò a casa, scaraventò

via il fucile e non imbracciò mai più un arma. Quel giorno di marzo, però, Piola lo stuzzicava, faceva battute, ma il ragazzo era sereno: «Vedrai che segna Amadei, come l’ultima volta». La mattina volò via in un attimo,

tornando a casa ci fu appena il tempo per preparasi. Si giocava in trasferta, ma da quando non c’era più Testaccio, lo Stadio Nazionale era la casa della Roma, e contro la Lazio, non si giocava mai in trasferta.

Dopo 20’ dal fischio d’inizio Piola ha un violentissimo scontro con Acerbi. E’ il suo modo di giocare, un armadio a due ante che si muove come una gazzella, ma questa volta ha la peggio, dal sopracciglio inizia a scendere sangue. Canestri lo richiama a bordo campo, dove lo bendano. Rientrerà, bendato e schiumante di rabbia. Sensi è nervoso, fatica a rimanere seduto, l’urlo di gioia gli si strozza in gola quando Krieziu fallisce, a

porta vuote, il gol del vantaggio. E’ un presagio e al 43’ la Lazio passa in vantaggio. Centrata bassa di Zironi, Masetti respinge a fatica rimanendo a terra, a due metri da lui saltano in tre. A spuntarla è l’unico laziale,

Piola, che mette in rete di testa. Franco dalla tribuna vede il vercellese aiutarsi con il braccio, questa almeno è la sua impressione. A distanza di oltre mezzo secolo, quando era già divenuto presidente della Roma, ricorderà: «Era bravo Piola, bravissimo, ma con la mano ogni tanto ci provava». La Lazio quel derby lo vinse 2-0 con doppietta di Piola ma Franco quella sconfitta non l’ha mai digerita.

Questi trascorsi da tifoso, da ragazzo innamorato della Roma spiegano più di un qualunque saggio il modo che Franco Sensi aveva di vivere il derby. Ricordate la stracittadina del 29 novembre 1998? Dopo le sconfitte in serie del campionato appena trascorso la Roma, ridotta in dieci uomini, era sotto per 3-2. A nove minuti dalla fine Francesco  schiaffò la palla in rete. Mi sembra ancora di avere nelle orecchie l’urlo furioso, selvaggio con cui la Sud reagì a quella rete. Non era di gioia, ma di liberazione. Un urlo che chiedeva, esigeva il quarto gol, quello della vittoria. Negli occhi di Franco Sensi, nel suo saltare in piedi ritrovai lo stesso sguardo, la stessa febbre. Qualcuno, negli ambienti giornalistici snob-radical-scic, storse il naso per quella reazione. Personalmente il Franco Sensi presidente mi conquistò in quel momento, perché uno che salta così ad un gol segnato alla Lazio lo senti vicino, dalla tua parte, anche oggi che non puoi più vederlo.