La penna degli Altri 17/07/2010 02:28

Totti: «Lo sceicco e la Champions»

«È il figlio maschio che non ho mai avuto», disse Sensi una volta di Francesco. Quando nel 2006 Vanigli rischiò di mandare in frantumi la carriera del capitano, le lacrime di Rosella Sensi in tribuna impallarono le telecamere. «Dobbiamo ringraziare la famiglia Sensi per quello che ha fatto o per quello che farà», dice adesso a Radio2. «Chi comprerà la Roma? Speriamo qualche sceicco», aggiunge. Non è un saluto di commiato. È la speranza romanista in un futuro migliore. La stessa speranza della Sensi. L’identificazione di con la Roma, e con Roma, è totale. Potresti considerarli dei sinonimi, tanto è simbolo Francesco. «La Lega ce l’ha con Roma? Sono invidiosi. Roma è la à più bella del mondo. Mi piace tutto: Roma, i romani, il mare... Sento ovunque tanto affetto per me. Magari, vorrei che per cinque minuti nessuno mi vedesse. Dovunque vada, mi chiedono di fare foto e autografi. Io, alla fine, sono un buono. Essere buoni significa mettersi a disposizione di tutti. L’invidia non fa parte del mio repertorio, ma in giro ce n’è tanta» ne sa qualcosa. Ha patito - patisce ancora - gli effetti collaterali di essere una bandiera. Meglio: di essere espressione autentica di una à mal sopportata un po’ dappertutto, specie dal Po in su. Un errore, una palla sugli spalti, una reazione, un eccesso, e finisci sotto il fuoco nemico. È fresco il ricordo della condanna senza processo dopo l’espulsione di Coppa Italia. Un calcione a Balotelli gli costò la crocifissione. «Io sono molto istintivo - spiega - ma per un giocatore la testa è tutto. In campo ci sono momenti in cui dovresti tranquillizzarti ma fatichi a controllarti. Può capitare che non riesci a fare quello che vorresti, ti insultano o ti prendono in giro. Magari eccedi, come ho fatto io ultimamente, sbagliando. È intervenuto anche Napolitano». Il Presidente parlò di «gesto inconsulto». 

Quando la domenica dopo, era Roma-Cagliari, tornò in campo, il cielo sopra l’Olimpico era un lenzuolo di magliette. Tutti eravamo Francesco. «È stato un giorno storico, si è visto di cosa sono capaci i romani. Mi hanno fatto capire il valore della romanità». Prima ancora della Roma, c’è la famiglia. Ilary, Cristian, . Tanti anni prima, c’era stata Simona. Chi? «La mia prima volta fu a 12 anni con una ragazza che si chiamava Simona, sulle spiagge di Tropea. Ma non ci ho capito niente... Ho scoperto la sessualità sentendo quello che dicevano gli altri, sentendo cosa dicevano gli amici». Genuino, Francesco. In Sudafrica è capitato di vedere la giornalista spagnola Sara Carbonero intervistare il fidanzato Iker Casillas. Il della Spagna Mundial. «Mia moglie Ilary è più bella», sorride Francesco. «I figli sono la cosa più bella che ci possa essere. Quando ho visto mio figlio Cristian per la prima volta, mi sono squagliato. Guardarli crescere è incredibile, ho paura di lasciarli soli». È il lato più intimo del campione. Che conosce i propri difetti. Li ammette. «Sono permaloso. All’inizio rosicavo per le battute. Poi ho detto "vabbè, divertitevi..."». Anche io sono Francesco, cantava l’Olimpico. Lo saremo tutti anche quando lo scarpino non sarà stato appeso al chiodo, ma sarà passato di padre in figlio. Sarà - chissà - l’eredità di Cristian. Anche se il papà non intende fermarsi proprio ora. «Quando non riuscirò più a fare quello che sto facendo, sarà il momento di smettere. Si può fare tutto se fisicamente si è a posto. Dopo, non farò l’allenatore. Sono troppo buono, non riuscirei a mandare qualcuno in tribuna». Tranquilli. non andrà mai via dalla Roma. Non potrebbe. La Roma è lui. Lo è per la diciannovesima stagione consecutiva.