La penna degli Altri 19/07/2010 21:51

Totti, il simbolo di una città

Contano, nel calcio e fuori dal calcio, le appartenenze, le cricche, i circoli di potere, per cui non vale quel che sei, ma con chi stai. Non conta giocare bene, conta saper oliare gli ingranaggi giusti per avere - come ha detto ancora una volta il nostro capitano - «gli aiuti» per arrivare dove non arrivi sul campo e rubarci due scudetti. A favore di chi sono stati questi aiuti? Della squadra che - stante il declino del Milan che segue la triste parabola discendente del suo patron, ieri contestato dai tifosi, e lo spaesamento di una che ancora non ha imparato a vivere senza Moggi - incarna lo spirito del Nord. Quell’Inter presieduta da un signore che è stato «inibito» per aver trattato irregolarmente dei giocatori con un suo collega, sempre di un squadra del nord, che era già «inibito». In parole povere: hanno fatto una trattativa irregolare. In un paese serio, quale noi non siamo, una società che fa giocare atleti acquistati al di fuori delle regole, sarebbe penalizzata e avrebbe quindi perduto lo scudetto. Conquistato, del resto solo grazie ai favori arbitrali e - se lo dice il capitano gli crediamo - al crollo psicologico della Roma nel secondo tempo contro la Sampdoria, (un crollo che magari è stato aiutato anche dalla sensazione che in campo l’arbitro, tifoso dell’Inter e di Cassano, non si stesse comportando in maniera esattamente neutrale). Al contrario, da quel che si è visto sui campi di calcio e dei conti economici, la Roma ha vinto lo scudetto del bel gioco, dell’onestà e dell’efficienza, essendo riuscita a mettere in piedi una squadra che ha lottato per il titolo fino all’ultimo respiro, senza poter attingere alle immense risorse dell’Inter, né agli aiutini di cui hanno goduto i nerazzurri. E chiudendo il bilancio in pareggio. Le vicende societarie della Roma hanno tenuto, giustamente, banco quest’estate, ma ci piacerebbe che qualcuno - senz’altro lo farà "Il Romanista" da domani - raccontasse anche i bilanci delle altre società di calcio e in particolare di quelle del nord. A guardarlo dalla prospettiva del calcio, è un mondo totalmente rovesciato rispetto alla favoletta del nord produttivo vittima del parassitismo romano.

Lì albergano intrighi di potere e bilanci dissestati, presidenti in conflitto d’interessi, o «inibiti»; qui ci si mette la faccia, e i debiti si pagano fino all’ultima lira, anche a costo di dover cedere tutti i beni, ma salvaguardando tuttavia il valore tecnico (che poi è anche il valore economico) della squadra. Magari tra qualche giorno vedremo grandi colpi di mercato degli altri: per ora, con la sua politica da formichina, senza cedere nessuno dei suoi campioni e prendendone di nuovi, la squadra che si è rafforzata di più è proprio la Roma. Questo comportamento, virtuoso e onesto, è stato pienamente compreso dal popolo giallorosso, malgrado l’estate infuocata del passaggio societario. Guardatevi in giro: a Brunico parla sostenuto dalle ovazioni di centinaia di tifosi, che pure protestano - giustamente - contro la tessera tanto cara al milanista Maroni; a Milanello Berlusconi deve subire l’onta della contestazione, mentre a Pinzolo i sostenitori della sono poche decine. Anche questo è un patrimonio di cui - ne siamo convinti - tutti i protagonisti del futuro giallorosso (arabi, americani o romani che siano) sapranno fare tesoro, senza ricadere in vecchie logiche di cui non si sente proprio il bisogno. Ecco perché, malgrado tutto, la Roma è all’attacco, e anche Roma potrebbe esserlo se i suoi comportamenti si ispirassero più alla sua squadra e meno al suo politico di centro, di destra e di sinistra. Non sono leader politici, sono mummie pietrificate dell’eterno presente, demolitori del futuro nostro e dei nostri figli. Perciò, non è solo il simbolo di una squadra, ma delle energie migliori di una à che non ci sta più a sopportare gli insulti e gli sputi di chi malgoverna insieme alle cricche di ogni risma.