La penna degli Altri 17/07/2010 11:36

E il capitano tifa per gli arabi: «Spero in uno sceicco»

È una possibilità. E se lo dice il più romano di tutti...«Chi la compra la Roma? A saperlo, ma speriamo qualche sceicco...», l’ha buttata là ieri già accarezzando l’idea. «Se un domani dovesse venire uno sceicco, un arabo e spendesse 200-300 milioni...». La pulce... Ecco. Se lo dice il capitano — è il ragionamento del tifoso —, lui sicuramente qualcosa sa, e allora... Ma diceva così per dire? O qualcuno gli ha messo la pulce nell’orecchio? Sicuramente sa bene chi è Alessandro Daffina, l’amministratore delegato per l’Italia di Rothschild, la banca d’affari — guarda caso molto attiva nei paesi arabi — che deve trovare e selezionare nuovi acquirentiper la Roma. Daffina, 50 anni, sembra proprio l’uomo al giusto al posto giusto: amico del sindaco Gianni Alemanno, che gli ha affidato la pratica Acea, romanista, già protagonista nella vicenda Soros. Due anni fa, fu Daffina a comunicare al clan la possibilità di un accordo con il magnate ungherese. Ora, volontaria o involontaria che sia stata, la battuta di alza il livello della partita — dalle chiacchiere romane ai petroldollari arabi — e ha il sapore dello sdoganamento: re, sceicchi o emiri, fatevi avanti. Non è un passaggio da poco: Roma non è Londra, è la culla della cristianità, l’ingresso di capitali musulmani sarebbe una svolta.

Chi si rivede Intanto, per trattare con quel modo diventa fondamentale un intermediario. E questo ruolo potrebbe ricoprirlo Tarak Ben Ammar. Il produttore cinematografico tunisino, socio e amico di Berlusconi e consigliere di Mediobanca, è l’unico che possa trovare investitori arabi per la Roma con una certa dimistichezza. Secondo qualcuno ci sarebbe lui dietro il contatto dell’altro giorno tra UniCredit e la famiglia reale saudita. E del resto un anno fa, nei giorni della visita romana di Gheddafi, Tarak ebbe l’incarico da Geronzi di contattare i libici e sondarne la disponibilità, ma quell’approccio fallì. Ma i romani no Dura la vita dell’intermediario. A questo giro bisogna trovare qualcuno disposto a investire 150-200 milioni (tanto potrebbe valere la Roma) in unsettore in cui i diritti televisivi li gestiscono altri e lo stadio di proprietà è ancora una chimera. In Italia dicono: ma chi se li è persi? Già qualche anno fa, Morgan Stanley provò a sondare il mercato italiano, ma niente. Fu coinvolto nell’operazione anche il fondo Clessidra del romanista Claudio Sposito, richiamato pure negli ultimi mesi, prima per affiancare Angelini e poi per sondare potenziali investitori italiani. Mentre UniCredit — che martedì firmerà con la Sensi l’accordo definitivo, approvato pure da Monte dei Paschi — prima di guardare all’estero, si era rivolta al patron di Geox Polegato e a Leonardo Del Vecchio di Luxottica, ricavando solo garbati rifiuti. A Roma va anche peggio. Al netto degli sbalzi umorali di Francesco Angelini e delle chiacchiere su Giampaolo Angelucci, e considerato pure che a Caltagirone il calcio non interessa, la Roma non è più cosa per i romani.