La penna degli Altri 17/06/2010 11:02

Montella day «È il mio giorno, nove anni dopo ritorno a volare»

Passaggio da calciatore a tecnico. Quando la scintilla? «In panchina, facendo la riserva. Non persi tempo e mi divertii a leggere le mosse degli allenatori. Soprattutto con Spalletti maanche con Capello, sebbene allora mi...divertissi meno».

Don Fabio le ha insegnato qualcosa? «Ha un pregio: pretende il meglio dal club, anche spingendo a comprare i due migliori per ruolo sapendo di usarne solo uno. Gli altri, invece, preferiscono non scontentare nessuno e lo spogliatoio è salvo».

Come allenatore ha modelli? «No, mi sento ancora il classico allenatore-precettore: i meriti meli prendo per la finale macuro la formazione, l’educazione. Nelle giovanili lo si fa poco, pensando, spesso, a vincere e giocare in A».

Quella vigilia del 2001 e quella di oggi? «Nel 2001 pensavamo di vincere prima lo scudetto e subentrò l’ansia. Durarono un mese quei sette giorni. Ci frequentammo molto anche con cene a casa mia. Quando vidi il calendario Giovanissimi con la finalissima al 17 giugno fui preso da ricordi, pensieri, sogni».

Si vede, prima o poi, allenatore come Guardiola o Di Francesco? «Vado per gradi. Bello insegnare ai ragazzi ma non mi accontento. Difra aveva già iniziato a Lanciano e Guardiola è preparato, intelligente, non mi stupisce. Ricordo un improbabile giubbino, identico, che indossammo nello spogliatoio: ci sfondarono di sfottò».

Cosa è cambiato nella Roma in nove anni? «Quella del 2001 aveva grosse potenzialità economiche ma vinse poco sebbene molto più forte di tutti. E ancor più competitiva fu l’anno dopo lo scudetto. Dimostrazione che conta sapere operare più che spendere. La Roma di Rosella Sensi ha toccato traguardi incredibili in campionato e in Europa senza follie».

Adriano, un gran colpo. «Gran giocatore, l’uomo deve trovare equilibrio masi è messo in discussione ed è, quindi, un grande. Motivato, farà la differenza».

Mondiali con Italia, Capello, Eriksson.... «Tra Coverciano e finali ne sto vedendo poco. L’Italia m’è piaciuta come squadra, gruppo. Lo spettacolo lo si chiede ai club, sono ottimista. Capello nel mirino degli inglesi? Innegabilmente hanno giocato male. Eriksson? Equilibrato, dà serenità e insegna calcio».

Di Roma-Milan ce n’è un altro, emozionante. « L’anno dello scudetto: all’Olimpico. Palla da Cafù, scatto verso la porta e segno con un pallonetto a Rossi, il più alto della A. Bello».

Dell’aeroplanino che è rimasto? «È in soffitta, non mi ci vedrete più. Però ci pensano i ragazzini avversari: quando qualcuno fa gol non è raro mi passi sotto il naso allargando le "ali". Allenare i 15enni è bellissimo, difficilissimo. Imparano qualcosa per poi dimenticarlo in fretta e si riparte da zero. Mi rivedo in loro? Forse sì, di sicuro non amo i soldatini ma i furbi, quelli che osano. Preferisco un pallone perso saltando l’avversario che non gettato in tribuna per non rischiare».

Osare, come faceva lei sapendo che Franco Sensi l’adorava. «A volte ero dialetticamente irruento col presidente che mi disse: " A Vincé, e sta’ bbono... Rimarrai con noi quando smetterai». Questa finale è anche un po’ sua...