La penna degli Altri 13/05/2010 11:22

Menez, nell'arena di Verona Jeremy cerca l'acuto tricolore

È una storia di piccole conquiste quotidiane, figlie di un dialogo a denti stretti con Ranieri. Dove non era riuscito Spalletti, è riuscito l’allenatore di Testaccio-San Saba, uno che, se serve, sa tirare fuori il carattere. «Posso essere cattivo, se voglio», ha detto dopo Roma-Cagliari. Con Menez, forse, ha tirato fuori l’aria severa, quella che ti inchioda al muro.

Probabilmente era quello che serviva per scuotere questo ragazzo nato alla periferia di Parigi e che ha la faccia giusta per recitare in un film di malesseri esistenziali, in stile francese. Dopo un anno trascorso a sbuffare e ad arrancare, a chiedersi «ma chi me lo ha fatto fare?», a pensare di andare via e tornare in Francia, a sentirsi incompreso nell’incomprensibile calcio italiano, Menez ha dato cenni di vita.

Che avesse talento, si era intuito. A spazzi, ma qualcosa si era visto. Il gol al Chievo il 6 dicembre 2008, ad esempio, in cima ad una partita giocata nel freddo, dove con un tiro al volo aveva svelato per la prima volta i suoi colpi di classe. Poi, però, era tornato nelle sue atmosfere: lui da una parte, il resto del mondo dall’altra. «Menez? Un ragazzo silenzioso, imperscrutabile, ma bravo», ha detto una volta . A fine stagione, ci furono il gol al Milan e quello al Torino. Un guizzo.

Passata l’estate, Menez atto due. Con un numero nuovo: il 94, omaggio della sua banlieu. Un gesto geniale: a chi verrebbe in mente di scegliere il numero di un rione di Roma, ad esempio? Con Ranieri è stato un inferno all’inizio («a Menez servono duecento partite nel campionato francese prima di giocare in Italia»), poi dopo il colloquio, c’è stato il purgatorio, con qualche momento di paradiso.

Di sicuro è diventato un giocatore importante, uno di quelli che ha dato un discreto contributo alla riscossa della Roma. Ha mostrato di poter fare il trequartista. Ha imparato a difendere e a riconquistare il pallone. Ha forse capito che la maglia sudata fa magari schifo, ma ti consente di essere in pace con te stesso e con la vita. Ed è forse quello che insegue, tra un dribbling e una finta, questo ragazzo di talento: la fine dell’inquietudine.