La penna degli Altri 09/05/2010 11:30

Francesco e Gigi Riva, com’è dura essere bandiere a Roma e Cagliari



Ora, si badi bene, rifiutare la in quegli anni ’70 in cui era la dominatrice assoluta del nostro calcio in campo e fuori e nei quali la Sardegna non era ancora la meta di vacanze dorate ma una terra considerata brulla e inospitale, buona solo per l’esilio, fu un gesto di un’immensità assoluta che solo un grande uomo, prima che un grande campione, poteva essere in grado di compiere. «A quei tempi quando andavamo a giocare in trasferta ci dicevano di tutto, ma soprattutto ci chiamavano pastori, pecorai, banditi» ha raccontato qualche tempo fa Riva. Cosa c’è di diverso dal gridare "pastori", "pecorai", "banditi" ai giocatori che rappresentano un popolo fiero e leale quale è quello dei sardi, dal dire "romano di merda" ad uno dei miti riconosciuti della nostra à? Quello forse non è razzismo?




Ecco, in quegli anni in cui Riva giocava portando il suo Cagliari a compiere l’impresa di sovvertire il potere costituito sempre dalle stesse ( e Inter su tutte, poi anche il Milan, ma molto dopo di loro) l’opinione


pubblica italiana che contava aspettava sempre il momento giusto per dargli addosso e rimproverarlo della sua scelta di stare in mezzo a quei "pastori" dei sardi anziché andare a giocare nelle grandi squadre del nord che gli avrebbero consentito di vincere molto di più di quello che poteva fare in Sardegna.



Le stesse cose, in pratica, che da dieci e più anni stanno dicendo a , reo, ai loro occhi, di aver scelto la Roma per sempre e di non aver mai preso in considerazione l’idea di indossare una maglia a strisce bianche e nere o un’altra a strisce nere e azzurre o rossonere. Reo, in pratica, di aver legato il suo nome a quello di una
à che non a caso viene definita "eterna" e che tutti quelli che ne stanno fuori odiano e disprezzano, salvo poi cominciare ad adorarla una volta che vi mettono piede beneficiando del suo clima, del suo saper


vivere e lasciar vivere, del suo modo di essere. Quanti esponenti di quella Lega che quando tornano nelle loro valli la definiscono "ladrona" vivono molto bene quotidianamente nelle nostre piazze e nelle nostre vie

mangiando a quattro ganasse nei nostri ristoranti e godendo del nostro clima?

È interessante, oggi, rileggere cosa disse Riva su nel libro a quest’ultimo dedicato dalla casa editrice "Libri di Sport" alla vigilia dei Mondiali di quattro anni fa: «A questo calcio fa comodo dipingere come un ribelle.  Invece lui è un giocatore le cui qualità non sono mai state messe in discussione. Bisognerebbe resistere non cedere alle provocazioni, è vero; tuttavia considero la reazione più umana e sana rispetto al comportamento premeditato di chi la innesca». Parole  più attuali che mai alla luce di quanto è accaduto nella finale di Coppa Italia contro l’Inter. Non c’è niente da fare. Le bandiere tra loro si capiscono e si comprendono, perché sanno bene quante ne hanno dovute passare e subire per diventare bandiere. Come Gigi Riva e .