La penna degli Altri 07/05/2010 12:57

Elogio del calcione che cancella incubi e ingiustizie

So bene, anche, che Francesco non è difendibile con l’ipotesi di uno scatto impulsivo di nervi. «Ha perso la testa per un attimo», ha detto qualche telecronista, hanno scritto alcuni giornalisti, dicono i tifosi sconcertati, che gli vogliono bene, a prescindere. Macché. è un giocatore che tiene in modo perfetto il controllo dei nervi. Posso anche portare una piccola testimonianza personale: una volta, durante una vacanza in Sardegna, stavamo giocando a poker all’aperto, intorno a noi tavolini affollati... All’improvviso, una imprevista e rumorosa apparizione di un topo o di unpipistrello: le signore urlarono istericamente, i giocatori di poker si scomposero, impassibile... e, se ricordo bene, rilanciò e vinse pure il piatto.



No, va difeso semplicemente perché ha tirato, consapevolmente, quel calcione che è appostato anche in noi, in un cono d’ombra, in agguato ma pronto a scattare, per mille motivazioni, e però non scatta mai, o quasi mai, rarissimamente(perfortuna, lo ammetto), per educazione, o per paura fisica, o per il complesso di esporci a una figuraccia. Quando non se ne può proprio più. Nella nostra vita comune d’ogni giorno, quando il bullo arrogante ti brucia il parcheggio che ti spetta, fai la coda eti trattano comeun questuante, la banca ti strozzina, l’automobilista a fianco ti fa le corna, al bar ti fregano con il resto oti dannoun caffè ciofeca, incassi la busta paga ed è sempre più decimata dalle tasse... eccetera eccetera. Ma quando, quando e come può succedere che un giocatore-idolo come , coccolato dappertutto, estraneo alle miserie e ai fastidi di una vita qualsiasi, come può succedere che anche lui non ne possa più?

Francesco è un uomo che adora la sua à e ama la sua squadra. Roma, la Roma e lui sono un unicum e una cosa sola. Per questo motivo non ha mai voluto trasferirsi altrove. E per questo motivo ha vinto certo, ma poco, molto poco, in relazione alle sue qualità. Nella finalissima con l’Inter, la prima delle due sfide infinite del rendiconto finale di quest’anno (quando lo scudetto, salvo miracoli, è già sfumato), per un tempo in panchina (con una sofferenza visibile, senza neanche lo sfogo dell’adrenalina del calcio giocato) e per un tempo in campo ha avvertito l’inesorabile, crescente supremazia dell’Inter dominante, tatticamentepiù astuta, fisicamente più potente. E ha avvertito comeuomoecomecampione, e oserei dire come bravo giocatore d’azzardo, che anche la fortuna gli era contraria, la sconfitta maturava minuto dopo minuto. Ed ecco quel Balotelli che provoca e insulta (come Poulsen, in Portogallo). Quel ragazzo strafottente. No, non ne posso più. Sono alla fine della carriera, e tante volte mi sono rassegnato, orgoglioso, col sorriso sulle labbra, soddisfatto delle qualità che tutti mi riconoscono. Ma tante volte sconfitto. Perdente. Con una squadra raramente all’altezza. Sono stanco, stanco. Il mister mi ha messo in panchina e mi ha impedito di giocare mezza partita. Gli avversari mi irridono e la coppa sarà loro. Basta! La misura è colma. Non sono al tramonto!

Quel calcione che digrigna e urla dentro di noi è lì, pronto a colpire. Non voglio far male, no. Ma non ne posso più. Con un calcione cancello per un momento incubi, ricordi, spettri, amarezze, ingiustizie. Bisogna solo avere il coraggio di tirarlo, e io questo coraggio ce l’ho. Sotto gli occhi di tutti.