La penna degli Altri 28/05/2010 11:53

Da Da Costa in poi il Brasile siamo noi

viene inserito nell’undici titolare, ma con giocatori come Jairzinho, Didi, Gerson e Garrincha davanti, tutto sommato non è un’onta insormontabile. Fuoriclasse autentico Da Costa, devastante sul rettangolo di gioco, era portato nella vita ad una certa introspezione caratteriale, tanto che solo l’intervento di Don Augusto (successivamente vescovo dello stato di Piaul) lo aveva dissolto dal prendere i voti sacerdotali.

Possiamo accontentare chi dovesse obiettare che Da Costa non si sposa esattamente con l’esuberanza

di Adriano dando conto delle corpose analogie con Amarildo Tavares Silveira, terzo brasiliano (il grande Jair è stato solo una meteora, come Sormani) della ricca colonia giallo-rossa. Tanto per cominciare entrambi

sono nati e si sono fatti strada nelle file del Flamengo. Quello stesso Zagallo (a dire il vero non proprio entusiasta del ritorno in Europa del suo antico pupillo) che in rossonero, nel 2000/01, è stato il primo allenatore a livello professionistico di Adriano è stato anche compagno di squadra di Amarildo. A quel tempo Amarildo era solo un ragazzo alle prime armi che a vent’ anni sarebbe passato al Botafogo e che in quei mesi avrebbe avuto l’incredibile occasione di giocare al fianco di Garrincha, Pelè, Quarentinha: «Con attaccanti

come quelli
– avrebbe dichiarato in seguito – avrebbe segnato anche uno zoppo».

Sbarcato in Italia, Amarildo, si sarebbe fatto valere nelle file di Milan, e Roma. Una volta tornato in patria, altra analogia con Adriano, quando in molti non avrebbero più scommesso su di lui, conquista ancora un titolo brasiliano, nel 1974, con il Vasco De Gama (l’Imperatore ha invece trionfato con il Flamenco guidato da Andrade…). Nel nostro percorso eccoci giunti al numero quattro, che diventa perfetto per il semplice

fatto che vi troviamo Paolo Roberto Falcao, profeta insuperato e insuperabile del calcio mondiale. Ed è stato proprio lui, in un’intervista a "Il Romanista", a battezzare, alcuni giorni fa, il nuovo arrivo dell’Imperatore, con largo anticipo: «Nella Capitale - ha predetto - tornerà grandissimo».



Sulla scia di Paolo Roberto, nell’estate del 1983 arrivò il soffertissimo ingaggio di Cerezo. In un’Italia in cui si chiude un occhio e spesso anche due su tutto, improvvisamente l’ingaggio del centrocampista di Belo Horizonte viene annullato per una questione tecnico-burocratica. Viola alla fine la spunta e viene ricambiato dall’arrivo di un campione infinito che ha il pregio ulteriore, sin da subito, di sforzarsi fortemente di entrare in sintonia con l’ambiente che lo ospita. Quando in una delle sue prime interviste italiane gli chiedono qual

è l’emozione di giocare nel campionato italiano, lui risponde: «Per me l’emozione è quella di giocare nella Roma. La prima partita è stata come iniziare nuovamente la carriera». Come lo stesso Cerezo ama dire: “forse (forse …) non sono stato il più grande giocatore della storia del calcio, ma sono stato certamente

il più amato dai tifosi della Roma
.

Dopo gli dei immortali arrivano Andrade e Renato, investimenti incompiuti per l’età (del primo) e per le bizze caratteriali (del secondo), ma nel 1990 la bandiera brasiliana torna a sventolare altissima grazie ad Aldair. “Pluto” era arrivato in Europa ingaggiato dal Benefica (per ironia della sorte su designazione di Eriksson, l’uomo che passerà alla storia del calcio per aver preferito il danese Bergreen Cerezo …) che aveva pensato a lui per sostituire l’altro brasiliano MozerViola lo regalerà alla Roma l’anno seguente. 

A fianco di Aldair arriva ben presto un’altra leggenda, Cafu, l’unico calciatore della storia del football ad aver disputato tre finali di Coppa del Mondo (94-98-2002) e accanto a lui Paulo Sergio, Fabio Junior Vagner, Zago, Assuncao e Lima, con i necessari distinguo una legione di assoluto valore che ha dato un contributo più che apprezzabile alla causa della Lupa.

Durante il ciclo Spalletti la colonia brasiliana torna a ruggire con gli ingaggi di Doni, Taddei, Mancini, Cicinho, Juan, Julio Baptista e Julio Sergio, che però, per più di un motivo può considerarsi, a tutti gli effetti, un’intuizione di Claudio Ranieri