La penna degli Altri 08/04/2010 10:44
Quando la diga vuol dire scudetto
Nelle dinamiche del metodo, il modulo tattico adottato dalla Roma campione dItalia 1942, il centrocampo era affidato alle due mezzale, Coscia e Cappellini, che fungevano da veri e propri elastici tra i reparti. Aristide Coscia vestiva con più disinvoltura il ruolo di regista dattacco (o come genialmente scrisse Eugenio Danese di violino da spalla delle punte), mentre Renato Cappellini, cuciva sontuosamente i collegamenti con il reparto difensivo rilanciando lazione. La migliore descrizione di Coscia, si deve a mio avviso, ad una intervista rilasciata da Amadei, che nel gennaio 1983 dichiarò: «La Roma del 1942 aveva il suo Falcao, era Aristide Coscia, la mezzala sinistra. Un giocatore che forse non è mai stato stimato per quello che valeva. Come Falcao, Coscia aveva la straordinaria capacità di coprire tutte le zone del campo, di imporre la sua presenza ovunque. Sostava nella nostra area di rigore ed intuiva, o suggeriva gli sviluppi del gioco. Improvvisamente, lo vedevamo apparire ai limiti dellarea avversaria e allora era sempre in grado di effettuare inviti preziosi. Ricordo ancora quei palloni invitanti, rasoterra, puliti, sui quali bisognava solo scattare. Era Coscia, non ho alcun dubbio, luomo squadra di quella Roma». Per quanto riguarda Renato Cappellini, arrivò dal Napoli completamente fuori forma, non in grado di reggere i novanta minuti. Soprannominato il Barone per lo stile dispendioso di vita, per pochi mesi, Schaffer riuscì a motivarlo a condurre una vita da professionista e una volta entrato in forma diede vita ad un finale di stagione sontuoso. Alto, longilineo, Cappellini sapeva farsi sentire anche dal punto di vista della prestanza fisica, non disdegnando di proporsi in efficaci puntate offensive. Il suo limite era probabilmente proprio quello di insistere troppo nelle percussioni personali.
1982-83 FALCAO-PROHASKA. Il divino che cambiò la storia. L'austriaco re per un anno.
La storia della Roma è ricchissima di leggende sullarrivo, la permanenza e laddio di Paulo Roberto Falcao alla maglia giallorossa. Dal giorno del suo arrivo, il 10 agosto del 1980, a quello del suo addio cinque anni dopo, passando per quel rigore non tirato. Insomma, non basterebbe un giornale intero per parlare del Divino, inteso come personaggio. Per cercare di descrivere limpatto che lui ebbe sulla storia della Roma, però, basta ricordare una sola cosa: Paulo Roberto Falcao ha portato una cosa che da queste parti non cera mai stata, la mentalità vincente. Difficile da tradurre in mezzo al campo, è una dote che non si acquisisce se non ce lhai. Lui ce laveva e ha provato, riuscendoci, a trasmetterla ai suoi compagni. Falcao è stato il primo esempio di centrocampista moderno, perché prima di lui in Brasile si era privilegiata la tecnica allagonismo, ma la sua dote principale era oltre ad una estrema duttilità tattica, lintelligenza. Falcao leggeva le partite come nessun altro sapeva fare nella Roma di Liedholm, e questo era fondamentale soprattutto nellidea di calcio del Barone che puntava molto sul possesso palla. In questo, Falcao comandava. Se poi i tuoi gregari si chiamano Ancelotti e Prohaska, allora diventa tutto più facile. Di Carletto si sa e si è detto tutto, e il suo contributo fu sicuramente decisivo per il tricolore, ma Herbert Prohaska da Vienna è stato assolutamente fondamentale. Sembrava un geometra, laustriaco, così ordinato e preciso nel disegnare le traiettorie, così intelligente da sbagliare poco o niente nelle 26 presenze (su 30) accumulate in campionato. A fine stagione fu costretto a salutare la Roma per colpa di un certo Toninho Cerezo e di una legge che allepoca non permetteva di tesserare più di due stranieri per squadra. Un sacrificio necessario, ma che in molti ha lasciato parecchi rammarichi.
2000-01, EMERSON-TOMMASI. Il Puma, lacrime e gloria. Damiano, mai così forte.
l terzo scudetto romanista ha tanti padri. Totti è uno di questi, Batistuta e Montella pure, Samuel anche. Protagonisti annunciati della vigilia, che dovevano essere protagonisti e che lo sono stati. Inaspettata, invece, è stata lesplosione di Damiano Tommasi. Pochi mesi dopo lo scudetto della Roma, Giovanni Trapattoni (ct della Nazionale) disse di non aver mai visto un giocatore in uno stato di forma come quello attraversato da Tommasi nellanno del tricolore romanista. Tommasi fu uno degli artefici principali di quella cavalcata trionfale. In una squadra votata principalmente allattacco, Tommasi era quello che portava la legna, quello che doveva correre per tutti, che erano tutti più bravi di lui a trattare il pallone. E lui correva, come Forrest Gump, e non si fermava mai. Anche per questo sul terzo scudetto romanista cè anche la sua firma, che non è quella di un comprimario. Un comprimario ha rischiato di esserlo quello che era considerato uno dei migliori centrocampisti del mondo, e cioè Emerson. Il brasiliano arrivato dal Bayer Leverkusen si ruppe i legamenti del ginocchio sinistro in allenamento prima dellinizio della stagione. Il pubblico romanista però lo accolse lo stesso come un grande campione e alla presentazione della squadra allOlimpico nellamichevole contro lAEK Atene in settantamila lo applaudirono a lungo. Lui scoppiò in lacrime. È ritornato in campo a febbraio (sostituito nel frattempo alla grande da Cristiano Zanetti, un altro protagonista assoluto della stagione), giusto in tempo per aiutare i compagni a conquistare lo scudetto. Negli anni successivi, e prima del tradimento e della depressione che lo hanno portato a seguire Capello alla Juventus, Emerson fu davvero uno dei centrocampisti più forti del mondo: piedi brasiliani, intelligente tatticamente e forte fisicamente, una sintesi perfetta. Peccato solo per come è finita la sua storia giallorossa.