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La penna degli Altri 19/04/2010 12:31

Mezzo titulo

La vera risorsa della Roma è stata cambiare la pelle tra un tempo e l’altro, una mutazione di cui Ranieri è stato il coraggioso artefice. Ci vogliono due attributi grandi così per togliere dal derby più caldo degli ultimi anni e , forse più il primo che il secondo perché la gente giallorossa non vuole rassegnarsi all’idea che il tempo passa pure per l’ex e i ritmi di certe partite non sono quelli di uno spot pubblicitario. La presenza di si notava soltanto nel dopopartita e ne avremmo fatto a meno: un suo gesto di scherno, con il pollice verso peggiorava la rissa innescata da uno sgambetto di Radu a Perrotta. Nella gazzarra rovente scivolavano tutti.

Nell’intervallo Ranieri ha capito che stava sbagliando tutto e non poteva concedere alla Lazio il vantaggio di troppi uomini fermi: se la medicina passava per l’esclusione dei due che rappresentano il "core de Roma", pazienza, bisognava sorbirla. Era più importante che la squadra ritrovasse i polmoni e le gambe. Ranieri perciò ha fatto ciò che doveva fare: immaginiamo gli sguardi torvi e i veleni che avrebbe dovuto sopportare se la Lazio fosse passata sul 2-0 contro la Roma deromanizzata ma ha saputo rischiare e ha vinto. Nel secondo tempo c’era finalmente una squadra viva e diversa, non grandissima (Muslera ha preso due gol ma non ha fatto una parata) però capace di muoversi senza avere come unico riferimento il corpo di Toni là davanti. La Lazio non poteva più controllare gli attacchi giallorossi semplicemente schierandosi in bell’ordine: c’erano Menez e Taddei che sgusciavano via e il brasiliano si procurava infatti il rigore del pareggio. Toni era sempre un faro, Vucinic assumeva la leadership di cui non si carica quando c’è , che patisce. Ci sono allenatori che non vanno bene per tutte le stagioni. A Torino Ranieri non aveva le qualità per far crescere la che in due anni infatti non era migliorata e sarebbe rimasta per sempre un’incompiuta: il fatto che chi lo ha sostituito abbia commesso ben altri scempi non cambia il giudizio, bisogna confrontarsi con il meglio e non con il peggio. Ma a Roma, con una squadra già completa e che doveva soltanto liberarsi della cappa di Spalletti, le sue doti di gestore sono emerse. La decisione di ieri ne è stata la prova.

Lo stratega del Testaccio sta vincendo la sfida con Mourinho senza guardare in faccia nessuno: il palo di Milito all’ultimo minuto del match con l’Inter e il rigore sbagliato da Floccari sono coincidenze fortunate però senza la buona sorte nei momenti decisivi non si va da nessuna parte. La Lazio può rimproverarsi poco, sebbene debba tremare molto per quanto sta vicino alla serie B. Aveva cominciato molto bene. La rete di un grande Rocchi lanciato oltre Burdisso da una traiettoria diamantina di Ledesma aveva scosso gli entusiasmi: la Roma era facile da bloccare e non arrivava mai in porta, la Lazio poteva lanciare Lichtsteiner e Kolarov sulle fasce senza che li seguisse nessuno. , Toni e Vucinic restavano raggrumati e statici, Andrè Dias bastava da solo ad arginarli saltando come un grillo. I laziali cedevano un po’ troppo l’iniziativa ma non correvano i rischi: si capiva però che la Roma non si sarebbe rassegnata ed era così.

Quando Floccari calciava centralmente sulle gambe di Julio Sergio il penalty, una scossa furiosa attraversava il corpo giallorosso. Si innescava la svolta. Kolarov, fino a quel momento straordinario, confermava di saper attaccare più che difendere e metteva un piede tra le caviglie di Taddei che l’aveva saltato in area. Rigore corretto, come lo era la punizione per il fallo di Radu da cui nasceva il raddoppio. Reja tentava pure la carta Zarate. Invano. C’era una Roma compatta davanti a Julio Sergio, sarebbe servito il miracolo che non arrivava.