La penna degli Altri 22/04/2010 05:35

La sedicesima volta vale una Stella


Delle precedenti tre ne ha vinte due (nell’80 contro il Torino e nel 2008 contro l’Inter) e ne ha persa una, la prima, quella del 1936-37 con il Genova, come era stato rinominato il in omaggio all’italianizzazione delle parole straniere voluta da regime. Decisivo un gol di
Torti. Nel 1940-41, poi, disputò la sua seconda finale contro il Venezia, che ebbe il merito di guadagnarsi la ripetizione della partita con una clamorosa rimonta. La Roma, infatti, si era portata addirittura sul 3-0 con una tripletta di Amadei, ma il Venezia pareggiò con Valentino Mazzola, Diotallevi e Alberti. Il 3-3 rimase anche dopo i supplementari e si andò così alla ripetizione del match (i rigori non erano contemplati), che finì 1-0 per i veneti con gol di Loik. Lui e il succitato Valentino Mazzola saranno poi tra i principali protagonisti del grande Torino. Per conquistare la sua prima Coppa Italia, dunque, la Roma dovette aspettare la terza finale della sua storia, quella del 1964 con il Torino. Si trattò di una vittoria che potremmo definire“delle due stagioni”, poiché quel torneo venne giocato fino alle semifinali tra settembre 1963 e giugno 1964, mentre le finali si tennero tra settembre e novembre del ‘64.

Ecco dunque che quella vittoria ha più di un padre: ovvero tutti i giocatori delle stagioni 1963-64 e 1964-65 (i primi portarono alla finale la Roma, i secondi la vinsero), i quattro allenatori succedutisi in panchina in quei due anni (Alfredo Foni, la bandiera Naim Krieziu, lo spagnolo Mirò e l’eccentrico argentino Juan Carlos Lorenzo) e il presidente Marini Dettina, vero trait-d’union della competizione. Un signore di altri tempi che nella Roma mise passione e (soprattutto) soldi, al punto di finire con l’indebitarsi per essa. Gli investimenti di Marini Dettina portarono a quella Coppa Italia, che divenne il secondo trionfo italiano della Roma dopo lo scudetto del 1942. Dopo aver eliminato la in semifinale solo ai rigori (sul campo finì 1-1, poi la Roma passò per 7-3), la finale col Torino venne fissata per l’inizio della stagione successiva, il 6 settembre, sul campo della Roma. In caso di parità la gara sarebbe stata ripetuta. Finì così e dopo lo 0-0 di quel giorno i granata, sapendo delle difficoltà economiche in cui si dibatteva la Roma, le proposero di invertire il terreno di gioco della ripetizione della sfida in cambio di una sostanziosa partecipazione all’incasso. La proposta venne accolta anche per la forte esposizione di Juan Carlos Lorenzo, che ai suoi dirigenti fece chiaramente capire che giocare la finale fuori casa sarebbe stato un vantaggio per la sua squadra, molto portata al contropiede e poco alla costruzione del gioco. Finì 0-1 per i giallorossi, con Nicolè che firmò il gol decisivo di quel freddo pomeriggio d’autunno piemontese e da quel momento la Roma disputò solo finali vincenti fino a quella, rocambolesca, del 1993, sempre col Torino, che all’andata vinse in Piemonte per 3-0 contro una Roma costretta a giocare con il terzo , Firmani, per le squalifiche di Cervone e Zinetti e che al ritorno perse 5-2 in un Olimpico ribollente di entusiasmo e passione. Ma i tre rigori di Giannini e i gol di Mihajlovic e Rizzitelli non bastarono a far vincere la Coppa alla Roma di Boskov. Tra queste due finali con il Toro, scrivevamo, la Roma ne disputò altre cinque, tutte vittoriose: quelle del 1979-80 e del 1980-81 sempre contro i granata, entrambe finite ai rigori e decise dalle parate di Tancredi, che nelle prima si consacrò a emergente del nostro calcio e nella seconda si confermò degno titolare della Roma. Poi quella del 1983-84 contro il Verona, che fu di consolazione dopo la finale persa col Liverpool e di addio per Liedholm e Agostino.

Quindi quelle dell’85-86 e del 1990- 91 con la Sampdoria, con la prima che vide l’ultimo gol di Cerezo in giallorosso tra le lacrime e la seconda che si concluse con il trofeo sollevato a Genova da Donna Flora al termine della stagione della tragica scomparsa del grande Dino Viola. Anche quella coppa, come quella dell’84, arrivò a parziale consolazione di una vittoria mancata in Europa: quella nella Coppa Uefa contro l’Inter. A questi successi va poi aggiunto quello della stagione 1968-69, nella quale, come scritto prima, il trofeo venne assegnato alla fine di un girone all’italiana in cui la Roma si classificò prima grazie alla vittoria per 3-1 (doppietta di Capello e gol di Peirò) a Foggia nell’ultima gara in programma. Una partita che, per come si era messa una classifica, fu come una finale, anche se tecnicamente non può essere definita tale. Dopo questi sei successi consecutivi, dunque, arrivò la sconfitta del 1993 con il Torino, che fece da preludio a quelle del 2003 contro il Milan e del 2005 e del 2006 contro l’Inter, che la Roma incontrò di nuovo anche nelle successive due finali che ha disputato. La prima nel 2007, vinta in virtù del 6-2 dell’Olimpico all’andata e della sconfitta per 2-1 a S.Siro nel ritorno e la seconda nel 2008, giocata in una gara unica il 24 maggio sempre nel nostro stadio e finita 2-1 per i giallorosso con le reti di Mexes e Perrotta. E ora l’Olimpico aspetta un’altra cascata di coriandoli giallorossi. L’appuntamento è fissato per il 5 maggio alla presenza del Presidente della Repubblica. Una situazione che la Roma ha già vissuto due anni fa concludendola in trionfo. Adesso varrebbe la stella d’argento: la nostra decima Coppa Italia.