La penna degli Altri 20/04/2010 13:29
Limportanza di chiamarsi... Sergio
E poi vuoi mettere la carica, ladrenalina, il gusto di andare a togliere lo scudetto alla Roma? In una stagione del genere poi! Era già pronta lestate col titolo mutuato dai loro gemellati di Milano: zeru tituli. Ormai sta diventando noioso. La Roma invece ha trattenuto il respiro tutta la settimana. La Roma ha pensato magari pure di perderlo, forse ha avuto addirittura paura non tanto per gli avversari, ma per il solito caso del cavolo, dellingiustizia, di quei destini da Slavia Praga, Torino, Inter, fino a salire al Lecce senza nemmeno parlare di quellaltra partita. Però aveva una consapevolezza: noi dovevamo vincere, non cera nemmeno modo di avere paura e remore e proprio la partita lha dimostrato.
Non è un paradosso. Tanto più che la Roma è partita male (e non è vero, i primi dieci minuti eravamo presenti, eravamo bellissimi, tutti rossi con la sensazione di poter sporcare facilmente quel bianco attorno), preso il gol ha cominciato a sbagliare tutto, sembrava esattamente quello che ogni tifoso della Lazio aveva sognato... Eppure proprio così, proprio contro tutta linerzia del mondo, con queste premesse e quel primo tempo e un calcio di rigore contro, la Roma ha vinto. I vecchi romanisti lo sapevano che domenica finiva così. Cera nellaria. Stavolta non poteva che finire così. Lo sapeva pure la Curva Sud che quasi per caso, quasi per coincidenza non ha srolotolato la coreografia allentrata in campo, ha mancato il rito più sacro di sempre e lo ha fatto quasi apposta. Era come un grande disegno, era uno specchio: la Roma e i suoi tifosi avevano iniziato tardi la partita. Avevano ritardato il momento. Come per assaporarlo meglio, anche se la gioia è arrivata in tutta la sua forza bruta, come la sassata di Vucinic. Come a dirsi, e magari a dirgli a quegli altri, che mai come stavolta il derby noi lo giocavamo insieme, che eravamo la stessa cosa. Il popolo e la squadra, la squadra che era fatta da figli del popolo. La stessa cosa. Questo era il
derby nel nome di Roma e così è stato. Mai come questa volta avevamo lo schieramento che rispecchiava la storia:
DESTINI
il presidente (e la Sensi era a sorpresa presente), lallenatore, il capitano e il vicecapitano. Tutti romani e romanisti. Era il derby della romanità e soprattutto allintervallo lo è stato. Soprattutto quando cè stato il doppio cambio lo è stato, perché è stato letteralmente un cambio doppio. Allo specchio. Non solo perché Ranieri ha marcato una volta e per sempre la sua grandezza (la sua romanità, appunto), ma perché in un derby del genere, in cui la squadra comincia a giocare in ritardo contemporaneamente al "ritardo tecnico" della sua gente ci voleva un ulteriore collante: due giocatori in Curva Sud. Totti e De Rossi che sono la Sud in campo, se ne sono andati sugli spalti e a quel punto è il settore che è sceso in campo. La romanità è una categoria e una filosofia e fa soprattutto rima con generosità. Totti e De Rossi quello hanno dimostrato. Nel momento in cui sono stati sostituiti hanno cominciato a giocare. LOlimpico è diventato il paese delle meraviglie.
Non è stato un caso che la Curva Sud abbia fatto una seconda coreografia - e stavolta puntuale allingresso delle squadre - allinizio del secondo tempo: cerano Francesco e Daniele che srotolavano lo striscione, che alzavano i cori, che incoraggiavano i giocatori. E stato tutto un gioco di specchi. Nuvole e sole. E tutto questo ha avuto un inizio. Cè stato un punto, il momento in cui Alice ha attraversato lo specchio, in cui il derby nel nome di Roma ha finalmente risposto a tutte le domande. Il calcio di rigore di Floccari. Lui contro Bertagnoli.
Lì i destini si sono guardati e hanno girato nella parte giusta, sè deciso lattimo dello sliding doors. Allo specchio. Pochi se ne sono accorti, ma nel derby del nome di Roma, in quel momento, cerano due giocatori, Bertagnoli e Floccari che avevano lo stesso nome: Sergio. Da ieri forse Vucinic ha deciso come chiamerà suo figlio.